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a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale |
Ricordo di Marco Tangheroni
Nel febbraio di tre anni fa si spegneva, a meno di sessant’anni, un caro amico, docente e storico di grande prestigio, membro illustre del Comitato Scientifico del nostro Istituto, Marco Tangheroni.
Era un uomo che aveva fatto della storia la passione e il perno della sua esistenza. Nato a Pisa, si era laureato in quella grande fucina di intelletti che è stata ed è tuttora l’ateneo pisano. Amava la letteratura, l’arte, non lesinava scorribande nella filosofia e nelle questioni poste dal pensiero scientifico, ma aveva finito per coagulare e incanalare questa sua multiforme curiosità per il reale nella storia, in particolare in quella del Medioevo, che Pisa illustrò in modo insigne. Non si trattava di una passione smodata e fine a sé stessa, come tante passioni, anche nobili, che oggi dominano il cuore dell’uomo moderno e sono frutto ed emblema di quella «perdita del centro» che ha subito la nostra cultura. In lui l’amore era per quanto attraverso la storia si rivelava di bello, di vero, di retto, cioè per quella civiltà italiana dei secoli post-romani, intrisa di cristianesimo e ricca di splendori artistici e civili, che Pisa aveva irradiato in tutto il Mediterraneo occidentale. La sua propensione per la storia si orientò fin da subito verso la ricerca e Marco imboccò la via della docenza e della carriera accademica, che percorse, con livelli di responsabilità sempre più ampi, a Pisa e, per un breve periodo, anche a Sassari. Ma l’amore per le bellezze che l’arte di Clio gli spalancava davanti spingeva Tangheroni, oltre che all’insegnamento, anche verso altre forme di impegno, di cui la storia era la portante. Di storia Marco parlava non solo in università ma sempre, e con tanti, con tutti, uti singulus — il suo tratto dolce e umano lo portava a creare più amicizie che inimicizie, anche se queste non gli mancarono —, ma anche, spesso, volentieri e con gioia, all’interno della rete di amicizie che un’«agenzia» di apostolato culturale come Alleanza Cattolica, in cui Marco militava, gli offriva. Il suo enorme bagaglio di erudizione e la sua acuta intelligenza della storia si posero così al servizio di una intensa attività, fatta di conferenze, di saggi e articoli, di relazioni a convegni, di interventi a ritiri formativi: in essi forse doveva rinunciare alla «punta di fioretto» di cui era ben capace, ma la consapevolezza di propiziare il ricupero della prospettiva cristiana in molti lo ripagava di questa «riduzione». Senza dimenticare l’amore per la famiglia e per il suo «habitat» umano e civile, la storia era per lui il «pane quotidiano». Tutto ciò tuttavia sarebbe ancora sotto il segno dell’ordinarietà, anche se di una ordinarietà di alto profilo. Per capire meglio chi fu Marco è d’obbligo aggiungere che a soli 28 anni egli fu assalito da una grave e inarrestabile malattia renale che in breve tempo lo costrinse a sempre più frequenti emodialisi, logorò in maniera subdola e progressiva il suo fisico, portandolo più volte in punto di morte e infliggendogli una moltitudine di sofferenze, di ogni tipo e intensità, accentuate dai ripetuti interventi chirurgici subiti per continuare a vivere. Ebbene, nonostante questo drammatico e invasivo background della sua quotidianità, il suo amore per la disciplina che aveva scelto non conobbe flessioni, anche se talora la sua applicazione dovette farsi più tenue e rara. A prezzo di dolori indicibili, di cui parlava con cristiana rassegnazione —, leggeva di continuo e si sforzava di mantenere un’attività esterna assidua, in cui arrivò non di rado a mettere a repentaglio la sua precaria salute. Credo che definire «eroico» questo suo sforzo non sia temerarietà, ma solo doveroso omaggio, da storico, alla realtà. Perché mi sono dilungato su Marco Tangheroni? Senz’altro perché merita di essere conosciuto non solo dai colleghi e dagli amici. Ma anche perché mi offre la possibilità di introdurre qualche breve considerazione sul rapporto fra storia — il «mestiere di storico», per dirla con Marc Bloch — e vita. Per Marco, con le sue doti non comuni, la via alla storia fu immediatamente quella universitaria ed egli seppe percorrerla più che lodevolmente. Ma non siamo tutti uguali e sarebbe fuorviante associare l’opzione per la storia al successo accademico e alla fama. La storia come disciplina, in realtà, può interessare molti di noi a diverso titolo. La storia serve ad aprire una finestra sul passato per meglio comprendere e vivere il presente: sul nostro passato di individui singoli, ma anche sul passato delle collettività di cui facciamo parte — la nostra famiglia, la città, la nazione, lo Stato — per mettere meglio a fuoco la nostra identità. E il ricupero di questa nozione si rivela essenziale soprattutto oggi, quando tutta una tradizione si è interrotta, quando il profilo culturale del nostro popolo si è sfuocato e appiattito, quando si entra sempre più in contatto con homines novi, dal portato culturale assai diverso dal nostro. Questa operazione di coltivazione della memoria si esprime in forme diverse e prevede più di un ruolo. La storia si «produce» attraverso la ricerca; la si insegna nelle scuole; vi è chi la divulga attraverso i mass media; c’è chi vi attinge per fare politica e così via. La storia — lo stesso Tangheroni lo scriveva — è una disciplina a cavallo fra rigore scientifico e sana artigianalità. Però, vi si arriva comunque attraverso una formazione, che postula quindi in primo luogo l’esistenza di università e di scuole specializzate. Se oggi l’offerta in questo campo è amplissima, non sempre alla quantità corrisponde la qualità. In molti atenei imperversa ancora la cultura ideologica di matrice storicistica; altrove la post-modernità «debole» fa dubitare della capacità della storia di conoscere il reale. Si tende sempre più a preparare persone tecnicamente ben attrezzate, ma spesso prive di una visione d’insieme. Soprattutto vi è difficoltà a insegnare la storia integrandola in una prospettiva culturale più ampia e a vederne il senso anche all’interno di quella religiosa. Vi sono tuttavia eccezioni. Esistono luoghi di formazione professionistica — per esempio il Corso di laurea in Scienze Storiche dell’Università Europea di Roma, l’ateneo promosso dai Legionari di Cristo — che si situano in controtendenza, dove si ha fiducia nella storia ai fini della formazione integrale dell’uomo: dello studioso, del cittadino, e anche del credente. Scegliere la storia come professione non significa coltivare solo un hobby, ma acquisire un «equipaggiamento» teorico e pratico che permette di contribuire in prima linea al bene comune delle nuove generazioni e del Paese, dando altresì uno scopo più ampio e assai concreto alla propria vita professionale e individuale.
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