A
mano a mano che i grandi baluardi crollano, lasciano sempre più sguarnita la città: questa è la sensazione che destano in chi combatte la buona «battaglia delle idee» notizie come quella della scomparsa, il 22 febbraio scorso, di Pierre Faillant de Villemarest. Improvvisamente ci si accorge che si è vissuto a lungo all’ombra di grandi figure, di maestri, di autentici testimoni della verità, che schierati accanto a noi ci alleviavano la fatica della lotta, ci consentivano, in un certo senso, di vivere di rendita. Ci si affidava loro, quasi con
nonchalance, si sfruttava la loro capacità di capire, d’interpretare, d’insegnare, di agire, di tenere alta una bandiera: poi, di colpo, si scopre di essere sempre più soli.
È una sensazione che provai a più riprese quando per ragioni accidentali o semplicemente di età vidi venir meno tutta una serie di personaggi. Per esempio – per menzionare solo i personaggi più importanti – la provai quando scomparve, per le ferite riportate dopo essere stato investito da un’auto, lo studioso di società segrete Léon de Poncins, nel 1976, e poi, ancora, alla morte del pensatore contro-rivoluzionario Plinio Côrrea de Oliveira nel 1995 e, ancora, quando si spense il cardinale Josyf Slipy, granitica figura di resistente anti-comunista, nel 1997; infine, con la morte, novantottenne, del grande moralista francese Gustave Thibon nel 2002.
Ma si è palesata anche al venir meno di tanti magistri, di certo minores rispetto ai primi, ma più vicini a noi e tanto migliori di noi. Nella mia vita ricordo la prematura morte – a 46 anni – del biblista don Enzo Bellini, nel 1981, poi quella del filosofo milanese Emanuele Samek Lodovici, morto pochi mesi dopo don Enzo per i postumi di un tragico incidente stradale, infine i più recenti abbandoni, quello degli storici e amici Marco Tangheroni e Cesare Mozzarelli, scomparsi entrambi nel 2004.
Pierre Faillant de Villemarest, nel suo genere – le informazioni o, meglio, «l’Informazione» –, era uno di questi maestri e di questi antemurali.
* * *
Pierre de Villemarest negli anni Ottanta
Pierre de Villemarest nasce nel 1922 a Chalons-sur-Sâone, in Borgogna, nell’est dell’Esagono, da un’antica famiglia, da cui trae non solo gli orientamenti culturali e politici, ma anche l’inconfondibile stile di fine gentiluomo europeo, colto e cosmopolita.
Giovanissimo, fra il 1940 e il 1944, abbandona gli studi di giurisprudenza e combatte per la Francia Libera del generale Charles de Gaulle, partecipando alla liberazione della sua patria dal nemico tedesco e nazionalsocialista. Fonda prima, nel 1940, La Dernière Colonne, in una caverna di Vichy con l’amico Pierre Garanger, che fonrirà al comandante Emmanuel d'Astier de La Vigerie un aiuto pregevole per il movimento di liberazione. Durante l’estate del 1941, tuttavia, prenderà le distanze da quest’ultimo, rifiutando di cooperare con i comunisti. Poi, dal 1943, opera come ufficiale nei gruppi armati e di controspionaggio dell’Armée clandestina nel Vercors, sui monti del sud-est della Francia. Crea allora una rete di informazioni e di protezione della lotta clandestina (il maquis) dell’Isère e della Drôme; opera nell’ambito della rete Galien, sotto-rete Kléber, specializzata nel campo delle informazioni strategiche. Per due anni gli fu data la caccia da un kommando della Gestapo franco-tedesca di Parigi, ma senza esito. Da giugno a settembre del 1944, comanda al fuoco una formazione franca. Per tutte queste azioni alla fine del conflitto verrà insignito delle più alte onorificenze al valore repubblicane.
Alla fine della guerra entra negli ambienti della intelligence e ha modo di collaborare con i servizi alleati, l’MI 5 inglese e l’Oss americano, soprattutto nella Germania occupata da inglesi, americani e russi, oltre che dai francesi, e in Austria, specializzandosi nella caccia ai gerarchi nazionalsocialisti in fuga.
Ha così modo di osservare da vicino – se non addirittura di esserne protagonista – i più scottanti «casi» dei primi anni del secondo dopoguerra: la fuga di Martin Bormann, su cui scriverà un volume; la consegna dei prigionieri russi ai sovietici e degli jugoslavi anti-comunisti a Tito; la comunistizzazione dei Paesi centro-europei nella logica delle conferenze di Teheran e di Jalta; il sorgere delle disperate resistenze anti-comuniste nei Paesi occupati dall’Armata Rossa: nei Paesi Baltici, in Polonia, in Ucraina. Così pure conoscerà i più importanti diplomatici e agenti dei vari Paesi amici, ma anche di quelli avversari.
Fra il 1945 e il 1950 è funzionario della futura Dgse, il servizio segreto esterno della Francia. Negli anni della guerra di Algeria si schiera con i pied-noir e ha rapporti con l’Oas, Organisation de l’Armée Secrète, che dal 1961 combatte nella clandestinità per l’Algeria francese. In seguito, dopo gli accordi di Evian del 1962 che segnano la nascita della Repubblica algerina, appoggerà il Mouvement Populaire «13 mai», fondato dall'agricoltore e leader dei franco-algerini Robert Martel. Per questo nel 1964, quando il governo francese liquiderà l’Oas per i suoi ripetuti atti di terrorismo, de Villemarest verrà condannato in contumacia «per complotto» a vent’anni e, poi, in un secondo processo, si prenderà in via definitiva cinque anni; sarà infine graziato nel Natale del 1965 dal presidente Georges Pompidou per i suoi meriti di guerra.
Nei decenni successivi potrà mettere a frutto le numerose relazioni strette nel mondo dei servizi segreti e si darà alla pubblicistica e alle analisi geo-politiche e geo-strategiche, senza trascurare i prediletti studi sui maggiori dessous ed enigmi della storia contemporanea.
Nel 1968 sposa Danièle Martin, il cui padre, Henri, negli anni Trenta era stato dirigente della società segreta nazionalista e anti-comunista detta Cagoule – cagoule significa passamontagna o cappuccio da monaco – e poi membro dell’Oas.
Di orientamenti conservatori Pierre Faillant de Villemarest ben presto avverte la necessità di schierarsi per evitare al suo Paese e all’Europa – se non anche al mondo – di cadere nell’orbita tragica del socialismo reale allora in netta espansione. Diverrà uno dei massimi esperti della strategia e della tattica dell’impero socialcomunista, di cui diagnosticherà la fine in termini di «eclisse» e di «riconversione», piuttosto che di «crollo».
«Maestro» dell’informazione, si dimostrerà sempre ben al corrente – magari solo perché legge attentamente e interpreta acutamente la letteratura che filtra al di qua della Cortina di Ferro e che viene di norma trascurata dai media, intossicati dalla «disinformazione» avversaria, e dai circoli politici – di quanto accade dietro le quinte del potere sovietico e nei vari Stati socialisti.
Uomo di penetrante intelligenza e di ampia cultura, ma anche uomo di azione, darà vita a molteplici iniziative.
Nel 1972 fonderà il Cei, il Centre Européen d’Information – un’agenzia che raccoglie dati e informazioni su tutto il mondo – con sede a Cierrey, piccolo paese della Haute Normandie, il quale editerà ogni tre settimane la Lettre d’Information, un bollettino cartaceo su abbonamento – conterà sottoscrizioni in diciassette Paesi –, ricchissimo di informazioni sui retroscena delle cronache politiche mondiali e letto da giornalisti, politici, industriali, diplomatici.
Nel 1983, momento di massima espansione del comunismo prima del tracollo, darà vita alla Cirpo, la Conferenza Internazionale delle Resistenze nei Paesi Occupati dal comunismo.
È autore di diverse pubblicazioni, fra le quali Le 14e complot du 13 mai (1960), Histoire Intérieur de l’URSS depuis 1945 (1962), L’espionnage soviétique en France 1944-1969 (1969), La Marche au pouvoir en U.R.S.S. (1969), Manuel de politique internationale (1977), Exploits et bavures de l’espionnage américain: les espions du Président, l’O.S.S., la C.I.A. (1978), Les sources financières du communisme, quand l’URSS était l’alliée des nazis (1984), Les Sources financières du nazisme (1984), GRU: le plus sécret des services soviétiques 1918-1988 (1988), Le coup d’Etat de Markus Wolff: la guerre secrète des deux Allemagnes: 1945-1991 (1991), Le mondialisme contre nos libertés (2001), Le Dossier Saragosse: Martin Bohrman et Gestapo-Muller après 1945 (2002), Le KGB au cœur du Vatican (2006).
A Ginevra, con diffusione nella Svizzera francofona, dove contava buone amicizie, fra il 1979 e il 1991, promuoverà il bel rotocalco mensile di informazione e di studi politici L’impact suisse.
Giornalista professionista dal 1952, lavora per l’agenzia France-Presse e scriverà – in differenti periodi – su testate come Valeurs actuelles, Défense de l’Occident, La vie française, Le Quotidien de Paris, Monde et vie, bimensuel catholique et national, e Historia. I suoi articoli appaiono sui principali quotidiani e periodici francesi – Le Figaro, Combat, L’Aurore, Paris-Presse –, belgi, tedesco-occidentali, svizzeri, statunitensi, turchi, giapponesi e del Sud-Est asiatico.
Collabora per un non breve periodo anche con Cristianità, l’organo ufficiale di Alleanza Cattolica di Piacenza, dove affronterà un numero inverosimile di argomenti, per esempio – i titoli sono redazionali – Caratteri e conseguenze del nuovo potere americano (n. 69), La resistenza in Afghanistan dall’interno (n. 72), L’era di Andropov, ovvero le tecniche sovversive all’ombra degli eserciti (n. 96), La tragedia di Varsavia e della Armata Segreta polacca (n. 114), L’era di Gorbaciov, ovvero il nazionalcomunismo sovietico al potere (n. 119-120), Il nuovo volto del potere sovietico (n. 132), La catastrofe di Chernobyl e le sue conseguenze (n. 134-135), L’URSS di Mikhail Gorbaciov fra resistenza religiosa e nazionale e complicità mondialista (n. 142), Fermenti religiosi, nazionali ed etnici nell’impero sovietico (n. 144-145), Resistenza anticomunista in Romania (n. 146-147), Verso un’Europa in simbiosi con l’URSS? (n. 167-168), Il clamoroso fallimento della «perestrojka» cinese (n. 170), Ungheria e Polonia: false privatizzazioni e falsa libertà (n. 175-176), Il caso iracheno, i retroscena della crisi del Golfo e la manipolazione dell’opinione pubblica mondiale (n. 184-185), URSS, agosto 1991: il fallimento di un colpo di Stato (n. 197-198), Un’«economia invisibile» per la sopravvivenza dell’Internazionale Comunista (n. 199), Neocomunisti dell’ex Unione Sovietica: i nemici interni di Boris N. Eltsin (n. 203), L’«Establishment» controlla Clinton e Gore (n. 212) e La Russia «umiliata e offesa»: popoli alla ricerca di sé stessi (n. 224).
Visiterà spesso l’Italia, ospite di Alleanza Cattolica, per la quale terrà a relazioni a convegni e parteciperà a conferenze e incontri ristretti. Particolarmente significativo sarà il convegno su Le Resistenze dimenticate, svoltosi a Milano il 1° dicembre 1984, durante il quale è costituita la sezione italiana della Cirpo.
Le sue analisi sull’evolversi dello scenario europeo e mondiale fra apogeo dell’impero socialcomunista di obbedienza moscovita, sulla sua crisi d’impotenza nel reggere il confronto con il mondo libero, la perestrojka di Mikhail Gorbaciov, e poi l’implosione dell’Urss sono magistrali e decisive per aiutare i militanti anti-comunisti a capire che cosa davvero accade e per evitare di cadere nelle trappole della propaganda e della «disinformazione» – un’autentica scienza, anche se assai poco conosciuta – dei comunisti.
Pierre Faillant de Villemarest è stato una miniera di informazioni e un penetrante disegnatore di scenari: soprattutto era fuori del comune la scaltrezza con cui sapeva smascherare ora questa ora quella performance dell’«orchestra rossa». Per questo era un personaggio scomodo come tutti quelli che vanno controcorrente: per i suoi avversari sarà tuttavia sempre difficile, se non impossibile, trovare gli strumenti per nuocergli. Infatti ogni sua analisi, ogni sua presa di posizione, ogni sua rivelazione si fondava sempre su fonti inoppugnabili e, come detto, non sempre «confidenziali».
Studierà temi delicati e oscuri come le vicende dei presunti eredi dello zar russo Nicola, sfuggiti alla Rivoluzione di Ottobre; gli intrighi del movimento peronista; il Gru, il servizio segreto militare dell’Urss; la figura del mitico Markus Wolff, il capo dei servizi segreti della Germania comunista; l’appoggio dato dagli ambienti della finanza internazionale sia al movimento bolscevico russo, sia ai circoli politici nazionalsocialisti tedeschi; le reti spionistiche e le organizzazioni tipo «Gladio» distese nei Paesi occidentali dai due blocchi; i retroscena dei vari colpi di Stato; quanto di grano e quanto di loglio vi è negli ambienti del fuoriuscitismo anti-comunista; l’attività dei circoli «discreti» del mondialismo, come il Bilderberg Club o l’Aspen Institute o la Trilaterale.
La sua voce – e quella di sua moglie – a partire dai primi anni 1980 echeggerà sovente dai microfoni di Radio Courtoisie di Parigi. Il 20 marzo 1997, una trasmissione nella quale presentava – documentatamente, come suo costume, anche perché durante la sua missione in Germania aveva potuto svolgere inchieste de visu nei campi – cifre sulle vittime dell’Olocausto discordanti da quelle «ufficiali» – anche se queste sono alquanto cangianti, stando alle ultime ricerche scientifiche – si traduceva nella sospensione comminatagli da Conseil supérieur de l’Audiovisuel e in una denuncia contro di lui da parte della Fondation pour la Mémoire de la Déportation: de Villemarest nell’aprile del 1998 sarà condannato a diecimila franchi di ammenda. Nella vicenda e nella polemica scoppiatale intorno egli manterrà un atteggiamento fermo e professionale, molto in linea con il suo stile «signorile».
Negli ultimi anni era diventato membro dell’Amicale des Anciens des Services Spéciaux de la Défense Nationale (Associazione degli ex appartenenti ai Servizi Speciali della Difesa Nazionale) e dell’Association des Écrivains Combattants. Era anche vice-presidente del Sindacato Nazionale della Stampa Privata, nonché membro della Società degli autori e creatori di Normandia e animatore del Centro di Ricerche sul terrorismo dopo l’11 settembre 2001.
Le tesi di Pierre Faillant de Villemarest andavano decisamente controcorrente e spezzavano la crosta della correttezza «politica» occidentale: per questo la sua voce non riuscì mai – perché non la si volle ascoltare – a farsi sentire al di fuori di determinati ambienti ristretti.
Si è spento a ottantacinque anni per un attacco cerebrale, dopo il ricovero in ospedale per un malore che lo aveva colto al suo tavolo di lavoro.
Con lui viene meno un combattente della libertà, un militante per la verità, un uomo di destra e di coraggio, una preziosa guida nella jungla della politica mondiale attuale.
L’augurio è che alla fine del tempo, quando tutto sarà svelato, anche le trame più recondite, Pierre Faillant de Villemarest possa levarsi e finalmente sentirsi dire: «aveva ragione»…