a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale
Michel Vovelle spiegato a mia nonna
Marco Respinti
Maximilien Robespierre? Un «democratico rispettato» di cui l’autorevole storico francese Michel Vovelle ha nostalgia: «Sì, perché non era un dittatore come è stato detto. Con il suo pensiero, la sua rettitudine d’incorruttibile, è stato l’anima della Rivoluzione nella sua fase più tragica. Ha rappresentato la Rivoluzione con i sanculotti — cioè con il popolo — finché è stato possibile». Del resto, la Rivoluzione Francese «è ombra, ma soprattutto luce». Violenta ed esagerata, certo: ma «rimane il sostegno di una grande speranza, quella di cambiare il mondo abolendo le ingiustizie, in nome dei lumi della ragione [...]».
Tuttavia «percepiamo bene quanto ancora manca: l’eguaglianza delle donne, la convalida della fine della schiavitù, ma soprattutto l’abolizione delle ineguaglianze sociali anche se, con un ultimo colpo al feudalesimo, essa pone le basi sui cui fiorirà la società liberale, dal XIX secolo fino ai giorni nostri».
È il vecchio mito dell’Ottantanove letto in chiave marxista e ricucinato in salsa liberal. Vovelle lo propina oggi in un libretto leggerino — a tratti sin risibile —, La Rivoluzione francese spiegata a mia nipote (trad. it., Ei-naudi, Torino 2007, pp. 72, € 8,50). Che farsene? Per certi versi nulla; a meno di non essere curiosi di comprendere il classico cui prodest.
Nato nel 1933 a Chartres, Vovelle è oggi professore emerito dell’Uni-versité Paris I (Panthéon-Sorbonne). Per dieci anni ha diretto l’Institut de la Révolution Francaise e a suo tempo presiedette la commissione di ricerca scientifica per le celebrazioni del Bicentenario dell’Ottantanove. Libri ne ha scritti una marea e nemmeno uno di secondo piano: tra i più noti, La Francia rivoluzionaria. La caduta della monarchia. 1787-1792 (trad. it. Laterza, Roma-Bari 1974), La mentalità rivoluzionaria. Società e mentalità durante la Rivoluzione francese (Laterza, Roma-Bari 1987), La Rivoluzione francese: un racconto per immagini. 1788-1799 (Editori Riuniti, Roma 1988); La Rivoluzione francese. 1789-1799 (Guerini, Milano 1993) e I giacobini e il giacobinismo (Laterza,Roma-Bari 1998). Libri importanti poiché hanno segnato la ricerca storiografica sull’evento fondatore della Modernità politica (o, meglio, sul termine ad quem della gestazione della Modernità) e libri decisivi giacché è là che impera l’idée reçu a proposito di Rivoluzione Francese.
Sul tema — ovvio — di autori imprescindibili, tradotti pure in italiano, ve ne sono altri, e numerosi; ma è all’impostazione vovelleana che si deve molto di ciò che finisce, a proposito di Ottantanove e dintorni, nei libri di testo scolastici, nei saggi più divulgativi, nei libri maggiormente destinati alle masse. E questo perché Vovelle soprattutto tramanda, trasmette, veicola. Che cosa? Anzitutto quell’impostazione storiografica che da un lato ha formato generazioni intere di occidentali, dall’altro è stata percepita (o fatta percepire) come interpretatio authentica. L’impostazione storiografica, cioè, degli Albert Mathiez (1874-1932), dei Georges Lefebvre (1874-1959) e degli Albert Soboul (1914-1982), forti degli Alphonse Aulard (1849-1928). Insomma, la storiografia marxista che, intronizzatasi all’Università della Sorbona, domina.
Francois Furet (1927-1977) ha dedicato al punto un saggio magistrale, Rivoluzione alla Sorbona, pubblicato nel Dizionario critico della Rivoluzione Francese da lui stesso curato assieme a Mona Ozouf (trad. it. Bompiani, Milano l988): la storia di una grandiosa operazione politico-culturale.
Nell’Ottocento la Rivoluzione Francese fu infatti appannaggio di storici non professionisti; il che non significa affatto di ciarlatani, ma è evidente che tutto mutò profondamente registro, quando, ne1 1886, lo scienziato Aulard svolse il primo corso dedicato alle Rivoluzione Francese e questo in università delle università che sta nel cuore della capitale del Paese che sull’Ottantanove ha l’imprinting. Poi, quando nel marzo 1891 fu nominato primo docente della neonata cattedra di Storia della Rivoluzione Francese, la voce della Sorbona, di questa Sorbona, divenne vangelo.
Dietro e attorno covavano la Storia della Rivoluzione francese di Jules Michelet (1798-1874) — una versione ufficiale dei fatti, funzionale al consolidamento della loro eredità nella mentalità del Secondo Impero di Napoleone III —; la Terza Repubblica, positivista e social-massonica, dei Jules Ferry (1832-1893), dei Léon Gambetta (1838-1882) e dei Georges Clemenceau (1841-1929), la quale, proseguendo l’opera del Secondo Impero, consacrò l’Ottantanove come mito di fondazione del Paese; lo spirito neogiacobino dell’Origine e causa della Rivoluzione francese di Louis Blanc (1811-1882); e il mitologismo della Storia socialista della Rivoluzione francese di Jean Jaurès (1859-1914).
In quel clima, la Sorbona partorì quindi la dottrina ufficiale sull’Otta-ntanove, nel più classico stile marxiano: da un lato il plauso ai giacobini per avere demolito il «retaggio medioevale» dell’antico regime, condizione indispensabile della vera rivoluzione, dall’altro però biasimo per essersi l’Ottantanove fermato alla fase borghese senza impostare la questione del conflitto di classe.
Ora, Vovelle è il rappresentante odierno, il discepolo prediletto, o solo l’ultimo, dei mohicani di codesta impostazione. Che anzitutto è storiografica, ma subito dopo è politica, fortemente politica. E per di più indispensabile da che, una volta tentato il completamento bolscevico della rivoluzione borghese nel lasso di tempo che va dall’istituzione della cattedra alla Sorbona fino al crollo del Muro di Berlino, e questo essendo miseramente fallito, il pensiero neo-post-marxista ripensa se stesso tornato all’Ottantanove della democrazia illuminista e giacobina.
Vovelle sintetizza così la Révolution in 67 paginette (72, contando pure le bianche finali e quelle — tre in questo caso per un totale di otto righe scritte — dell’indice) nate da un colloquio con Gabrielle, nipote 14enne.
Certamente — scrive il grande vate francese alle nuove generazioni — la Rivoluzione Francese esagerò, ma pure segnò, e incontrovertibilmente, la strada da perseguire. In tempi come questi c’era proprio bisogno di un piccolo catechismo per le masse: tempi in cui il post-marxismo è sempre in cerca di una credibile legittimazione storico-ideologica onde uscire dal mito bolscevico del 1917 senza ripudiarne l’ispirazione e la matrice, e dove per il mito dell’Ottantanove scricchiola sempre più spesso anche fra i liberali più raffinati.
Vovelle — la grande autorità in materia, la vestale del sacro fuoco della Sorbona — si è allora prodotto in un bigino per i giovani di domani. Eppure solo le nonne (ossia chi la memoria storica la conserva) possono comprenderne sino in fondo la malizia.
[Articolo apparso con il medesimo titolo ne il Domenicale. Settimanale di cultura, anno VI, n. 14, Milano 7-4-2007, p. 9]
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