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a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale


inserito il 26 aprile 2007


Mons. Francisco de Assis Pereira


I primi martiri del Brasile



I. LE ORIGINI

1. Nell’era delle scoperte

L’America, il nuovo mondo, la grande novità del XVI secolo, che ha rappresentato la maggiore espansione territoriale in tutta la storia dell’umanità per il mondo allora sconosciuto, venne chiamata America Latina nella sua parte centrale e meridionale, in quanto fu scoperta ed esplorata dagli spagnoli e dai portoghesi. Pochi anni dopo l’epopea di Cristoforo Colombo, che giunse nelle Antille in America Centrale, Pedro Alvares Cabral, scorgendo il Monte Pascual a Bahia, cinquecento anni fa, annunciava «terra in vista!». Con il trattato di Tordesillas, ratificato con la bolla Ea quae pro bono pacis di Papa Giulio II, il continente fu diviso in America portoghese e America spagnola. Lascio ad altri specialisti il compito di spiegare il motivo per cui i territori dominati dagli spagnoli furono frammentati in più parti, dando origine a molte nazioni, mentre l’America portoghese rimase unita e diede origine a un solo Paese, il Brasile, di dimensioni continentali.

Per tale ragione lo sviluppo del gigante addormentato, cantato nell’inno brasiliano Adagiato in splendida culla, fu così lento e l’esplorazione delle sue regioni così diversificata nel tempo e nello spazio.

Oggi voglio parlarvi di una delle regioni del Brasile, poco nota, che non ha il fascino e l’esotismo della foresta amazzonica, né lo sviluppo frenetico del sud. Si chiama Rio Grande do Norte, nell’estremità nord-orientale del Brasile, la regione più vicina all’Africa. Per questo motivo gli americani, che vi costruirono un’immensa base aerea militare durante la Seconda Guerra Mondiale per la sua posizione strategica rispetto all’Africa, la chiamavano «trampolino della vittoria». I vecchi gesuiti usavano l’espressione «porta del Brasile» e c’è chi dice che, prima della spedizione di Cabral, le navi esploratrici di Vicente Pinzón giunsero a Rio Grande do Norte attraccando a Capo San Roque.

La colonizzazione e il primo annunzio del Vangelo arrivarono a Rio Grande do Norte nel 1597, quasi un secolo dopo la scoperta del Brasile. È interessante sapere che questa parte del Paese è di origini spagnole e non portoghesi poiché, per questioni di dinastia, il trono del Portogallo fu assunto da Filippo II, re di Spagna, e dai suoi successori, dal 1580 al 1640.

2. I gesuiti e la pacificazione degli indios

Come avvenne in altre regioni del Brasile, i gesuiti furono i missionari che aprirono la breccia. Provenienti dal Collegio di Olinda, nel Pernambuco, iniziarono una missione presso gli indios potiguar che abitavano la costa di Rio Grande do Norte. Vi giunsero con una spedizione colonizzatrice del capitano maggiore (1) del Pernambuco, Manuel Mascarenhas Homem, il 25 dicembre 1597 – da qui il nome Natal dato alla città che vi sorse. I gesuiti si impegnarono nella pacificazione degli indios e a far stringere loro alleanze. Le difficoltà erano enormi in quanto, fra l’altro, i potiguar erano cannibali. Ciononostante sembra che non vi siano stati traumi profondi né massacri indiscriminati. I gesuiti operarono con estrema abilità, a tal punto che nell’arco di un anno e mezzo ottennero la pacificazione e un accordo con gli indios.

Il grande eroe di questa pacificazione fu il gesuita padre Francisco Pinto, «un sacerdote molto istruito nella lingua e nella conversione delle persone», che rispettava i costumi e la cultura indigeni. L’accordo di pace fu siglato nella vicina regione di Paraíba l’11 giugno 1599. Erano presenti molti capi indigeni e il capitano maggiore. Padre Pinto lasciò subito Rio Grande do Norte e si diresse in missione nella Sierra de Ibiapaba, nel Ceará, dove subì il martirio a opera degli indios cararijus.

3. I frutti della catechesi fra gli indios

Uno dei frutti più visibili e promettenti del lavoro missionario dei gesuiti in questi primi anni fu la conversione dell’indio Potiguaçu o, come traducevano i portoghesi, il «Grande Granchio», uno dei capi della tribù potiguar. Questo avvenimento, per la sua esemplarità e per l’enorme prestigio di cui godeva l’illustre capo, colpì profondamente tutti i gruppi di potiguar ed esercitò una notevole influenza sulla conversione di altri indios. Alleato dei francesi e anche se combatté contro i portoghesi durante la spedizione di Mascarenhas Homem, il Grande Granchio diventò in seguito amico fedele dei portoghesi, grazie alla mediazione dei gesuiti, convinto che i padri gesuiti non favorivano la guerra, ma agivano esclusivamente per il bene degli indios.

Abbracciò con entusiasmo la causa della pacificazione degli indios e, grazie alla sua indiscutibile leadership sui gruppi indigeni e anche su altri capi, la causa giunse a buon fine nell’accordo di pace firmato nel 1599. Fu il braccio destro dei padri in quel difficile inizio della missione. Già prima del suo battesimo era da loro considerato «benemerito della Compagnia e della fede cattolica».

Il Granchio decise di prepararsi al battesimo: il suo catecumenato durò ben tredici anni, dal 1599 al 1612, mostrando così qual era la sua serietà e maturità nella decisione di abbracciare la fede, a tal punto di diventare in tale periodo egli stesso catechista dei suoi. Le cronache dei gesuiti raccontano che era il primo ad andare di buon mattino casa per casa a chiamare gli indios a raccogliersi e ad andare a istruirsi. Se vedeva qualcuno in ritardo lo conduceva in Chiesa; andava ad assistere alle catechesi con moglie e figli e, se incontrava qualche ammalato cercava di farlo battezzare o, se era già battezzato, di spingerlo a confessarsi prima di morire. Quando i padri si recavano negli altri villaggi, egli faceva le veci di predicatore della dottrina, correggendo i difetti dei suoi indios. In questo consisteva la sua preparazione e quella dei suoi per il battesimo.

Il battesimo del Granchio fu molto solenne e fu celebrato nella chiesetta di Nostra Signora della Soledad, da lui stesso costruita. Tutta la famiglia fu battezzata insieme al suo capo. La cronaca di questo giorno lascia trasparire la felicità che inondò l’intero villaggio.

«Arrivò la domenica, che quel giorno poteva essere chiamata Pasqua fiorita per i tanti fiori di campo con cui era adornata la strada dalla casa dalla sede della guarnigione fino alla chiesa. Alla fine egli uscì, vestito dell’abito di gala, preceduto da un festoso corteo, portando con sé la moglie, i figli e con un gran numero di vassalli al seguito. Giunse in chiesa, dove lo attendevano i padri, che con gran pompa e cerimonie battezzarono lui e tutta la sua famiglia».

 

II. LA CRISI OLANDESE

1. Persecuzione religiosa

Non si può capire con precisione che cosa rappresentò, in termini di cambiamento nel comportamento religioso, l’arrivo degli olandesi in Brasile se non si parla della situazione delle Chiese nelle due nazioni europee del Portogallo e dell’Olanda. In Portogallo e nelle sue colonie la religione cattolica era la religione di Stato. Lo statuto di Protettorato attribuiva ampi privilegi ai monarchi di Spagna e di Portogallo per quanto riguardava la diffusione della fede e l’organizzazione interna della Chiesa, come per esempio la nomina di vescovi e la provvista dei parroci. La Tavola della Coscienza e degli Ordini (2) era il tribunale che si occupava delle questioni relative alla Chiesa.

Nei Paesi Bassi, invece, godeva delle prerogative di religione ufficiale la Chiesa Cristiana Riformata. Qui la situazione era più tesa a causa dei conflitti religiosi che si mischiavano alle lotte civili durante la resistenza contro la dominazione spagnolo. L’incontro di queste due realtà religiose in Brasile, inasprito dalla naturale resistenza all’invasore dei portoghesi, non poteva non scatenare gravi conflitti. La popolazione cattolica nella sua totalità, all’improvviso, si scontrò con una sovrastruttura religiosa che le era apertamente ostile.

La presenza di «predicatori» calvinisti negli eserciti fiamminghi era assai frequente. Più di cinquanta pastori vennero in Brasile durante l’occupazione per prestare assistenza religiosa agli olandesi, per combattere le eresie papiste dei lusitani e per convertire i nativi. Oltre ai predicatori vennero ministri ausiliari, quali presbiteri, diaconi, catechisti e «consolatori».

Fin dai primi giorni seguenti all’invasione, i templi cattolici iniziarono a essere usati dai calvinisti. In seguito, dopo la resa della Fortezza dei Re Magi a Natal, il 12 dicembre, fu celebrata una cerimonia di rendimento di grazie, nella cappella del forte, il primo atto liturgico della Chiesa Riformata nel Potiguar. La domenica successiva, 18 dicembre, lo stesso rito fu celebrato «nella chiesetta del villaggio di Natal».

Ho già parlato dell’impatto che la presenza della Chiesa Riformata, con tutta la sua struttura organizzativa interna e l’appoggio del governo, ebbe sugli ambienti cattolici del nord-est. Sulla libertà di culto la legislazione vigente era contraddittoria. Prima della spedizione a Pernambuco, nel 1629, le autorità olandesi avevano già preparato un «regolamento» per le aree che sarebbero state conquistate, nelle quali era previsto il diritto alla libertà religiosa:

«Art. 10 - Sarà rispettata la libertà degli spagnoli, dei portoghesi e dei nativi del luogo, siano essi cattolici romani o ebrei, i quali non potranno essere molestati o sottoposti a indagini in materia di coscienza o nelle loro case, e nessuno oserà inquietarli, turbarli o porre loro alcun ostacolo, imporre loro pene arbitrarie, o di circostanze, sotto pena di un castigo esemplare e rigoroso».

In linea di principio siamo di fronte a una legislazione esemplare. Ciononostante le norme pratiche che venivano seguite per applicare questo principio rappresentavano l’opposto di quello che era stato stabilito:

«Art. 11 - Tutti i gesuiti, sacerdoti o frati, qualunque sia la loro denominazione, saranno e rimarranno esclusi da tutti i luoghi che sono sotto l’obbedienza dei signori Stati Generali e non possono recarsi in tali luoghi sotto pena di reclusione in queste province».

«Art. 12 - Non vi potrà essere, senza alcuna eccezione, nessun convento, monastero o collegio di qualsiasi ordine o clero, sia maschile sia femminile».

Alcuni anni dopo le norme furono rese più restrittive:

«Nessuno nel Brasile olandese riconoscerà l’autorità di alcun vicario, vescovo o suffraganeo, né obbedirà a nessuno di costoro proveniente dall’estero, né si farà alcun piano con loro o si somministrerà loro denaro surrettiziamente». I cattolici romani terranno le cerimonie della loro religione all’interno delle chiese e non al di fuori, per le strade o per le vie.

È necessario tenere altresì in considerazione anche le due fasi del periodo di occupazione: il governo Nassau e il triumvirato che lo seguì.

Il conte Maurizio di Nassau-Siegen, che governò il Brasile olandese dal 1637 al 1644, era un uomo di ampie vedute, umanista e liberale, oltre che un bravo amministratore. Si dice che se fosse rimasto per più tempo in Brasile il corso della storia di quella regione sarebbe stato diverso, affermazione che mi sembra alquanto esagerata. Durante la sua amministrazione manifestò una certa tolleranza per il culto cattolico, tuttavia la parte più conservatrice del Sinodo della Chiesa Riformata, gruppo che esercitava una notevole influenza sul governo confessionale olandese, reagì fortemente. Lo scrittore Herman Wætjen afferma:

«Il Sinodo pretese dallo Statthalter [intendente (ndr)] e dal Consiglio un’estrema restrizione della libertà di pratica religiosa concessa ai cattolici. Aggiungeva che il principale rappresentante della Chiesa Protestante non poteva sopportare a lungo “de groote liberteyt der Papisten” (“la grande libertà di cui godevano i papisti”), né, in nessun caso, permettere che i nemici più truci della dottrina calvinista pregassero pubblicamente nelle chiese la Vergine Maria e celebrassero messe, o che nel territorio della Compagnia i fratres si dedicassero a un’esistenza contemplativa, alimentandosi a spese dei beni conventuali, o che si costruissero templi cattolici o si facessero processioni».

Il dopo-Nassau, che coincise con l’inizio dell’insurrezione dei brasiliani portoghesi contro il dominio olandese, fu disastroso in tutti i sensi: politico, amministrativo, sociale e religioso. Il governo olandese in Brasile fu assunto, quindi, da tre Alti Consiglieri, Hendrik Hamel, Pieter Bas e Adriaan Bullestrate, uomini che non avevano la visione amministrativa e la grandezza di spirito del Conte, ma mercenari che si preoccupavano solo dei loro affari e dei loro guadagni e che facilmente cedevano alle pressioni della Chiesa Riformata. La situazione per i cattolici peggiorò sensibilmente. Da questo punto di vista Wætjen, scrittore protestante, al di sopra di ogni sospetto, commenta:

«Ciò che, insieme alle aperture economiche, esasperava profondamente i portoghesi e toglieva loro la volontà di lavorare, era l’intolleranza religiosa che l’Alto Consiglio, influenzato dai fanatici calvinisti, metteva in pratica contro i cattolici. Vani furono gli sforzi del conte di Nassau che nel suo testamento politico predicò la tolleranza come uno dei più importanti principi del governo. Ma nessuno parlava di pace con i “papisti”. Sul pulpito i fanatici calvinisti si infiammavano contro le eresie cattoliche e spedivano tutti i fedeli della Chiesa Romana nelle profondità dell’inferno».

 

IV. IL MARTIRIO

In questo contesto storico e politico si verificarono i fatti di intolleranza religiosa che portarono al martirio Andrés de Soveral e Ambrosio Francisco Ferro, presbiteri, e ventotto loro compagni, laici e martiri. In realtà si trattò di due episodi avvenuti in date diverse, con un intervallo di due mesi e mezzo l’uno dall’altro, ma la Postulazione, autorizzata dalla Congregazione per le Cause dei Santi, decise di riunirli in uno stesso processo, in quanto le circostanze del martirio, la motivazione religiosa e il contesto sociale erano simili.

Il primo episodio ebbe luogo nella cappella di Nostra Signora delle Candele, a Cunhaú. Era una domenica, il 16 giugno 1645, e padre Andrés de Soveral, come di consueto, riunì i fedeli nella chiesa per adempiere al precetto domenicale. I fedeli, circa sessantanove persone, per la maggior parte agricoltori e impiegati della fabbrica di canna da zucchero di Cunhaú, si dirigevano pacificamente verso la cappella per partecipare al sacrificio eucaristico. Gli olandesi, che già dominavano tutta la regione, avevano inviato a Cunhaú uno dei loro emissari, il tedesco Jacob Rabe, uomo senza scrupoli e di estrema crudeltà, che si diceva portatore di messaggi del Supremo Consiglio Olandese di Recife agli abitanti del luogo. Gli ordini sarebbero stati trasmessi dopo la messa. Questo era solo un pretesto per nascondere le sue vere intenzioni e i suoi perversi propositi. Dopo la consacrazione entrò precipitosamente nel tempio una schiera di soldati olandesi, accompagnata da indios delle tribù tapuias e potiguar, tutti ben armati, sotto il comando di Jacob Rabe. Chiusero le porte e le uscite dalla cappella e si scagliarono con ferocia contro gli indifesi fedeli. Padre Andrés, comprendendo la gravità della situazione, interruppe la messa ed esortò i fedeli a prepararsi alla morte, recitando con loro l’ufficio per gli agonizzanti. «Tra angosce mortali si confessarono al Sommo Sacerdote Gesù Cristo Nostro Signore e ognuno di loro, con grande contrizione, gli chiese perdono per le proprie colpe». Padre Andrés, nonostante avesse chiesto agli scherani di non toccare il ministro di Dio né gli oggetti sacri, finì per essere colpito mortalmente con una daga da un indio.

Del gruppo di fedeli presente nella cappella in tale occasione si conosce solo il nome del laico Domingo Carvalho.

Il secondo episodio di martirio si verificò sulle sponde del fiume Uruaçú, a venti chilometri dalla città di Natal, il 3 ottobre 1645. Stavolta le vittime furono i parrocchiani della città, guidati dal loro parroco, padre Ambrosio Francisco Ferro. Terrorizzati dagli avvenimenti sanguinari della cappella di Cunhaú, i cattolici di Natal tentarono di prevenirli rifugiandosi in alcuni nascondigli. Ma non servì a nulla: le autorità olandesi li condussero in un luogo in cui li aspettavano i soldati e un gruppo di duecento indios, comandati dal capo indigeno Antonio Paraopaba, che si era convertito al protestantesimo e che nutriva una profonda avversione per i cattolici. I fedeli, in gran numero, insieme al sacerdote, furono torturati in vari modi fino alla morte. I cronisti dell’epoca narrano le azioni compiute dai torturatori non risparmiando a colori di perversità: braccia e gambe mozzate, teste staccate, bruciature, occhi, lingue e nasi tagliati. Un bambino fu lanciato contro il tronco di un albero e un altro fu tagliato in due da una spada.

A Mateos Moreira fu strappato il cuore dal petto mentre esclamava nell’ultimo istante di vita «Lodato sia il Santissimo Sacramento».

Fra la grande massa di massacrati a Cunhaú e a Uruaçú, la Postulazione è riuscita a identificare trenta nomi, che furono proposti alla Santa Sede per la beatificazione: Andrés de Soveral, p. Ambrosio Francisco Ferro, Mateos Moreira, Manuel Rodríguez de Moura e la moglie, Esteban Machado de Miranda e le due figlie, Antonio Villa Cid, Antonio Villa e sua figlia, Juan Martines e sette giovani compagni, una figlia di Francisco Días, Juan Lostau Navarro, José do Porto, Francisco de Bastos, Diego Pereira, Vicente de Souza Pereira, Francisco Méndes Pereira, Simón Correia, Antonio Baracho e Domingo Carvalho. Di essi ventisette sono brasiliani, uno portoghese – p. Ambrosio –, uno spagnolo – Villa Cid – e uno francese – Lostau Navarro.

Le informazioni biografiche sui martiri sono molto scarse: si sa qualcosa di padre Andrés de Soveral, mentre sono poche le notizie riguardanti gli altri servi di Dio. Il martirio, tuttavia, è narrato con diversi dettagli da vari scrittori del XVII secolo.

Padre Andrés de Soveral nacque nel 1572 a San Vicente, la prima città del Brasile, situata nell’isola di Santos, nel litorale di San Paolo. Fu battezzato nella chiesa di San Vincenzo Martire. Molto probabilmente studiò nel collegio dei «Meninos de Jesús» (Bambini di Gesù), fondato dai gesuiti nel 1553 nella sua città natale. Lì nacque la sua vocazione di gesuita. Il 6 agosto 1593, a ventuno anni, entrò nella Compagnia di Gesù e fece il noviziato nel Collegio di Bahia. Dopo aver completato gli studi di latino e di teologia morale e aver studiato la lingua indigena, fu mandato al collegio di Olinda a Pernambuco, centro di irradiazione missionaria per la catechesi degli indios dell’intera regione.

La sua prima esperienza missionaria a Rio Grande do Norte si concretizzò nel 1606 in un viaggio che intraprese con padre Diego Núñez nel territorio abitato dagli indios potiguar. In questa occasione visitò un villaggio indigeno, governato da una nativa già convertita di nome Antonia Potiguar, battezzò altri indios e benedisse il matrimonio dell’indigena.

Il nome del padre André non figura nell’elenco dei gesuiti dopo il 1607, cosa che sembra indicare che lasciò la Compagnia. In realtà già nel 1614 era parroco di Cunhaú, quale membro del clero diocesano.

V. MESSAGGIO DEI NUOVI MARTIRI

Qual è il messaggio di questi martiri del XVII secolo per i nostri giorni? Giovanni Paolo II, nell’enciclica Tertio millenio adveniente, ricorda la perenne testimonianza dei martiri di tutta la storia della Chiesa, dal «seminario dei martiri» dell’Impero romano fino ai martiri dei nostri giorni, e, in un nuovo martirologio, auspica che tutte le singole chiese salvino la loro memoria:

«Alla fine del secondo millennio la Chiesa è divenuta nuovamente la Chiesa dei martiri».

Vorrei sottolineare, quale tema dominante dei nuovi martiri brasiliani, il rapporto fra eucaristia e carità pastorale. Padre Andrés de Soveral, dopo un periodo di attività missionaria fra gli indios come gesuita, diventò parroco di Cunhaú. Morì durante la celebrazione dell’eucaristia, con sessantanove fedeli che partecipavano alla sua messa. Padre Andrés li esortò a morire bene, offrendo la loro vita in unione con l’oblazione del Sommo Sacerdote Gesù Cristo. Così raccontano i cronisti dell’epoca:

«Il principio interiore, la virtù che orienta e anima la vita spirituale del prete in quanto configurato a Cristo Capo e Pastore, è la carità pastorale, partecipazione della stessa carità pastorale di Gesù Cristo».

Padre Andrés de Soveral mise in pratica, in maniera radicale, la carità del pastore, donando la vita per Cristo e dando l’esempio ai fedeli che lo seguirono nel sacrificio supremo. Morendo durante il sacrificio eucaristico, il sacerdote e i fedeli trovarono nell’eucaristia la forza e l’alimento per il martirio.

«Questa carità pastorale scaturisce soprattutto dal sacrificio eucaristico, che pertanto costituisce il centro e la radice di tutta la vita del prete, in modo che l’anima sacerdotale si sforzerà di riflettere in sé ciò che si realizza sull’altare del sacrificio».

Anche padre Ambrosio Francisco Ferro diede la vita a capo del suo gregge nella località di Uruaçú. Rafforzò la fede dei suoi parrocchiani minacciata nei momenti finali dalle promesse ingannatrici di un ministro acattolico che offriva loro favori se avessero rinnegato la fede. Per loro, senza dubbio, «vivere è Cristo e morire un guadagno» (Fil 1,21). Fra i laici della parrocchia giustiziati in quella occasione vi era Mateus Moreira, il cui bel testamento nell’ora della morte è stato ricordato da Papa Giovanni Paolo II nella visita a Natal del 13 ottobre 1991. A padre Ferro fu strappato, ancora vivo, il cuore dal petto, ma ebbe ancora le forze per proclamare la sua fede nell’eucaristia dicendo: «Lodato sia il Santissimo Sacramento». In quell’incontro Giovanni Paolo II rivolse queste parole ai preti, successori di padre Andrés e di padre Ambrosio: «Siate anche gli uomini della carità. Animati dall’amore sconfinato del Buon Pastore, date la vita per le vostre pecore (cfr. Gv 10,11), facendo della vostra esistenza una integrale e autentica diaconia, a imitazione del Figlio dell’Uomo, che “non è venuto per essere servito, ma per servire” (Mt 20,28)».

Un altro insegnamento dei nostri martiri è l’appello alla valorizzazione della famiglia. Fra loro vi erano diversi gruppi famigliari: furono massacrati Manuel Rodrigues Moura e sua moglie; Antonio Cid (nonno), Antonio Villa, il giovane (figlio) e una bambina (nipote), figlia di quest’ultimo; vi era un gruppo di otto giovani, liberati da Juan Martins, che scelse la morte per non smettere di servire l’unico Signore; infine vi erano quattro bambini, di tenera età, che morirono insieme ai genitori, e vari padri di famiglia.

I legami che unirono così fortemente i membri di queste famiglie fino alla donazione suprema del martirio ci ricordano il valore della famiglia come autentica e insostituibile formatrice della fede e generatrice di valori morali.

«Per mezzo di Cristo, tutta l’educazione, nella famiglia e al di fuori, è inserita nella dimensione salvifica della pedagogia divina, che si rivolge agli uomini e alle famiglie e culmina nel mistero pasquale della morte e risurrezione di Cristo».

La testimonianza di queste famiglie martiri serva da esempio eloquente alle nostre famiglie di oggi.

E la nostra America Latina, così fertile nel generare figli che diedero un’autentica testimonianza di vita santa e di ideale evangelico incarnato nella quotidianità di una situazione di tanta povertà materiale e d’ingiustizia sociale, e che fiorì anche nella suprema oblazione di numerosi martirî, ieri e oggi, ha il suo esercito luminoso di martiri, arricchito da questa corona di servi di Dio brasiliani che sono stati beatificati di recente. Quando il processo canonica era appena agl’inizi Giovanni Paolo II, nell’omelia di chiusura del XII Congresso Eucaristico Nazionale, a Natal, la terra dei martiri, proclamava il futuro trionfo di questi Servi di Dio con le seguenti parole profetiche:

«È un’occasione felice che il Congresso si stia svolgendo a Natal. Proprio qui, nel 1645, un uomo semplice, profondamente religioso, Matias Moreira, ha dato, con i suoi compagni nella regione nota come Cunhaú e Uruacú, una bella testimonianza che ricorda quella dei martiri della Chiesa. Quando era insultato e ferito dagli eretici per il suo rifiuto a rinnegare la fede nell’Eucaristia e la fedeltà alla Chiesa del Papa, quando gli hanno squarciato il petto per strappargli il cuore, ha esclamato: “Lodato sia il Santissimo Sacramento!”».

«Fratelli e sorelle, questa magnifica professione di fede ha irrigato con sangue generoso la terra dove tutto il Brasile è venuto a riaffermare la sua devozione nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia».




Note:

(1) «Capitão-mor» in portoghese: titolo assegnato dal governo di Lisbona a funzionari delle colonie americane e africane responsabili di una «capitania», ossia di un possedimento (una «capitania») non così importante da avere un governatore (ndr).
(2) Consiglio creato da re Giovanni III del Portogallo nel 1532.



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