he cos’è la storia? Una
scala che sale.
Il primo gradino è quello
della scienza, della Forschung (ricerca), per usare questo termine
tedesco più forte e più preciso. Cercare i documenti, classificarli: Fustel de
Coulanges così ne riassume il metodo, che è semplice, anche se la sua
applicazione esige una grande pazienza.
Ma lo stesso storico aggiunge:
interpretare i documenti. Significa collocarsi sul secondo gradino, quello
dell’arte. L’arte è prima di tutto lo stile: una verità che non si sapesse
presentare o formulare non sarebbe più tale, o almeno non opererebbe più come
tale. Poi è la composizione: uno storico che non fosse capace di ordinare i
fatti, di presentarli secondo il loro grado d’importanza, mettere chiarezza
nella sua opera, uno storico che si lasciasse invadere dalla mala erba dei
dettagli, perderebbe il dominio della propria materia. Non sarebbe più se non
un imprenditore invece di un architetto. L’arte è infine l’immaginazione
storica, dal momento che ogni disciplina, ogni scienza deve avere in sé la
propria immaginazione, che è l’anima del proprio corpo.
L’immaginazione storica è la
facoltà di far vivere la storia, di evocare il passato, di risuscitare i morti.
Ci obbliga a domandarci: questi morti, al prezzo di quale sforzo hanno amato,
hanno sofferto, hanno pensato, hanno voluto, hanno realizzato? L’immaginazione
storica ci eleva così al terzo gradino, quello della giustizia storica.
Si tratta di una giustizia
distributiva. La sua regola è di non giudicare mai il passato secondo il
presente, ma secondo il passato che sta dietro questo passato. Il suo principio
è di non mai fare della storia una corte d’assise, di non mai perorare in
giudizio contro un accusato, richiedendo per lui la pena di morte. Può essere
utile perorare a favore: è il mezzo per approfondire una questione e per
estendere le ricerche. Ma perorare contro qualcosa significa partire
dall’errore volontario, il che per lo storico è il peccato contro lo spirito,
quello che non sarà mai perdonato.
Al quarto gradino la storia
ci appare come una saggezza. La sua ragion d’essere è d’insegnare agli uomini a
vivere in collettività. Jean de Müller vedeva in essa «magazzino di
esperienze a uso della politica». Ignorare ciò che è accaduto prima della
nostra nascita, dichiara Cicerone, vuol dire condannarsi a essere sempre
bambini.
Al quinto gradino dobbiamo
riconoscere che la storia è una sintesi. E non saprebbe essere tale senza
l’appoggio di una filosofia. Gli Elleni l’avevano capito prima di noi. In
effetti sono le loro sintesi filosofiche che hanno fatto uscire
dall’insignificanza gli scritti in prosa ai quali davano nome di historiai.
Tutto quello di serio, di solido e di profondo che rineviamo presso gli storici
greci proviene loro dalla filosofia. Questa è la sostanza della loro storia.
La sintesi ci conduce al
sesto gradino, il gradino dove riconosciamo che la storia è una forza: la forza
che s’impadronisce del passato per spingerlo sul presente e spingere entrambi
verso l’avvenire. Ma la fabbrica che produce questa forza sapete dov’è?
Il settimo gradino è così
alto che ne proviamo timore e vertigine. È il gradino del mistero. Da dove
viene la storia, dove va? È impossibile che uno storico non si ponga questo
quesito, in quest’ora d’instabilità, d’incertezza, di angoscia in cui il perché
della storia ci interessa e ci importa ben più del come. Si sente passare nella
notte una corrente possente che qua e là, di luogo in luogo, secondo una
direzione costante, fa brillare delle luci. Una corrente spirituale che viene
dalla trascendenza e torna alla trascendenza dopo aver attraversato la vita
umana e il tempo.
A questo culmine della scala
lo storico registra, come fosse un’antenna, segnali che a lui provengono da
molto lontano e da molto in alto.
Chi è che parla così?
In una celebre conferenza, in
cui esponeva le conclusioni delle sue ricerche, Max Planck, l’autore della
teoria dei quanti, dichiarava che l’ordine fisico del mondo rivela una
intelligenza: la si sente in azione, diceva, al limite delle nostre conoscenze
scientifiche. La storia sfocia in una rivelazione parallela: quella di una
provvidenza direttrice.
Se la storia non fosse altro
che un determinismo materialista, una sequela di combinazioni casuali, la sola
conclusione che si potrebbe trarre sarebbe: usciamo da quest’incubo! E ci si
ripeterebbero i versi di Le Conte de Lisle, al termine dei suoi Poèmes
barbares:
«Tacerai, o voce sinistra dei viventi!».
La saggezza sarebbe allora di
affrettare la distruzione universale.
La storia è un temporale che
passa, un temporale inframmezzato da luminosi raggi di sole: e poi la luce di
nuovo si spegne.
Ma là in alto, sullo sfondo
delle nubi nere, splende l’arcobaleno.
[27-11-1956]