a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale
inserito il 10 dicembre 2010
Oscar Sanguinetti
Appunti sul Risorgimento /4
Camillo e il suo re
Per capire perché il Risorgimento è andato come è andato, almeno a partire da una certa data, ritengo sia chiave la figura del conte di Cavour.
Cavour è una figura apparentemente dimessa, di basso profilo, di scarso carisma, ben diversa dal supercilioso Mazzini, dal roboante re Vittorio Emanuele II e dal corrusco Garibaldi.
Eppure, se non vi fosse stato "il tessitore" probabilmente gli eredi di Francesco II regnerebbero ancora a Napoli e i granduchi in Toscana. Solo grazie alla sua spregiudicata abilità di giostrare fra le potenze europee, di saper toccare le "corde giuste" dell’animo dei potenti, di contrapporre, di simulare, di obbligare è stata possibile la costruzione di un regno nuovo sotto il suo sovrano.
Ma, possiamo chiederci, quali erano gl’ideali, i progetti, le cose per le quali spendeva l’esistenza —purtroppo breve — questo piccolo esponente della nobiltà agraria, questo fedele funzionario del governo sabaudo e questo parlamentare moderato eletto con poche centinaia di voti?
Questa dimensione della sua biografia di uomo pubblico eminentemente attivo è forse quella più in ombra.
Cavour non era certo un radicale, né nel senso di liberale dogmatico, né nel senso di democratico alla Mazzini. Era un liberale moderato, dal penchant economico, dagl’interessi molti concreti, molto pragmatico, di poco rilievo intellettuale, non particolarmente ostile alla Chiesa e alla religione. Ma questo suo understatement si coniugava con una presa di distanza radicale da tutto quello che non era liberale moderato, tanto sul versante "destro" quanto su quello "sinistro". Non amava i reazionari clericali alla Solaro della Margarita — che combatterà sempre con durezza —, ma avversava i repubblicani democratici — anche se saprà servirsene come pochi
Soprattutto, Cavour era un uomo della monarchia. Fra i suoi obiettivi giganteggiavano il bene e le sorti del suo re. Tutto quello che, da un lato, minacciava il regno sabaudo era suo nemico; e, dall’altro, tutto quello che poteva rendere più grande il regno andava perseguito con tutte le forze — sue e dei sudditi — e a qualunque costo, anche a costo d’impiegare l’inganno, anche a costo di corrompere e di fare la guerra.
Lo si vede bene quando, nel 1859, ha sconfitto — o, meglio, ha fatto sconfiggere da Napoleone III — l’Austria e l’imperatore francese vorrebbe imporre al nuovo regno sabaudo formato dal Piemonte, dalla Lombardia e dall’Emilia di dar vita nuovamente al disegno federalistico-unitario in auge nel 1848. Cavour allora prende tempo, si tiene le mani libere, si disimpegna dal progetto federativo — l’adesione al quale forse avrebbe consentito a Vittorio Emanuele II di conservare Nizza e la Savoia — e preferisce scagliare Garibaldi contro il Regno delle Due Sicilie per tentare la via di una unità fondata sul primato assoluto del suo Regno. E si sa che la sua scommessa fu vinta. Probabilmente l’azzardo era ridotto da solide assicurazioni diplomatiche — e non solo — che l’Inghilterra avrebbe sostenuto l’impresa antinapoletana e le ire di Napoleone potevano sempre essere sedate — come in effetti fu — concedendogli le sospirate Nizza e Savoia.
Quindi, pur di estendere il regno del suo sovrano, "il tessitore" non esitò allora a buttare a mare il progetto unitario paritetico e federato caldeggiato da Luigi Napoleone. Quel progetto che da più parti si considerava — e si continuava a considerare persino da parte dell’antico carbonaro, ora imperatore dei francesi — l’unico in armonia con radici dell’italianità e con la salvaguardia dei diritti. Quel progetto, in aggiunta, che l’espulsione dello straniero dalla Valle Padana — cosa che nel 1848 era stata un indubbio ostacolo alla federazione — rendeva allora ancor più praticabile.
Forse dietro questa scelta si cela anche il timore che il suo bonario ma ferreo liberalismo avrebbe rischiato di restar confinato, nella federazione, al solo Piemonte invece che estendersi, come nel caso della conquista regia, all’intero Paese.
Tutto, nella sua proteiforme politica, pare obbedire a questo disegno di fondo mai teorizzato: fare grande il suo re e, attraverso questa grandezza ¾
ma solo dopo ¾
fare l’unità della nazione, introdurvi le libertà costituzionali, limitare la Chiesa, stabilire alleanze, agevolare i commerci, e tutto quel che segue.
Cavour è forse il politico monarchico più radicalmente fedele al suo sovrano del suo secolo. Il Cavour politico non si muoverà mai da Torino, neanche quando le truppe piemontesi entreranno a Napoli e a Palermo. Il suo background è svizzero e nordeuropeo, il suo orizzonte sono i confini sempre più estesi del regno al quale ha giurato obbedienza. Niente di più.
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