Nota informativa n. 9
giugno-dicembre 1998
L’Istituto nel bicentenario dell’anno culminante
dell’Insorgenza italiana
(1799-1999)
Sorto tre anni fa, nel novembre 1995, per iniziativa di militanti di
Alleanza Cattolica, l’Istituto per la Storia delle Insorgenze (ISIN) può
tentare un primo bilancio della sua attività e guardare un poco
più avanti lungo la strada che sta percorrendo.
I tre convegni organizzati — due a Milano e uno a Desenzano del Garda
(Brescia) —, le numerose pubblicazioni curate, le decine di conferenze
e i numerosi articoli su giornali e periodici, sono risultati significativi
raggiunti nell’ambito del progetto di fare conoscere l’Insorgenza e il
suo significato nella storia nazionale.
Certamente in questi tre anni la conoscenza dell’Insorgenza e della
sua rilevanza storica si è dilatata, come dimostra anche la recente
pubblicazione di un ampio saggio monografico su Le insorgenze popolari
nell’Italia rivoluzionaria e napoleonica da parte della rivista trimestrale
dell’Istituto Gramsci Studi Storici.
La presenza di un nutrito pubblico ai nostri convegni, proveniente spesso
da diverse parti d’Italia, è un altro fatto che testimonia la presenza
di un interesse reale per questo fenomeno, che più lo si conosce
e se ne rileva la portata nella storia italiana, più ci si rende
conto di come sia stato inaudito nasconderlo agli italiani per tanto tempo.
Ma sicuramente tanto, tantissimo rimane ancora da fare, anzitutto nella
direzione di fare conoscere l’Insorgenza a tutti quegli insegnanti di storia
che, in diverso modo e a diverso livello, contribuiscono a formare la classe
dirigente del futuro.
* * *
Nel 1999 ricorre il bicentenario del 1799, data di grande importanza
per l’Insorgenza italiana, soprattutto nel Meridione, dove ebbe luogo la
vittoriosa marcia del cardinale Fabrizio Ruffo dalla Sicilia fino alla
capitale, che portò alla riconquista del Regno di Napoli, occupato
dall’esercito francese ed egemonizzato dai giacobini locali. Sarà
un anno importante, soprattutto per le rievocazioni che avverranno nel
sud d’Italia. Anche l’ISIN promuoverà quanto è nelle sue
possibilità per rievocare tale avvenimento.
L’anniversario del 1799 sarà ricordato in un clima culturale
sempre più caratterizzato dal venire meno del rilievo sociologico,
non solo della religione istituzionale, ma anche delle ideologie, con tutte
le inevitabili ricadute fra cui anche quelle relative al piano storico
e alla interpretazione del passato.
È certamente un bene che cadano tanti falsi miti che hanno accompagnato
la storia italiana contemporanea, portando così nella tomba il veleno
ideologico che tali miti hanno contribuito a spargere nel paese. Ma mi
chiedo che cosa rimarrà dopo questa auspicabile revisione, cioè
mi domando se la transizione culturale che stiamo vivendo dopo la caduta
del Muro di Berlino nel 1989 sfocerà nel trionfo del nichilismo
e del pensiero debole — che andrebbero a prendere il posto delle diverse
sfumature dell’ideologia progressista che ha dominato e domina la cultura
italiana moderna —, oppure se si approderà, se pure faticosamente
e lentamente, alla riconquista della verità storica e alla riconciliazione
del popolo italiano con "tutta" la sua storia e non soltanto con quella
congeniale alla vulgata dominante.
Da parte sua, l’ISIN cercherà di assolvere al compito di un istituto
storico, oggi occupandosi del fenomeno dell’Insorgenza e domani, al termine
delle ricorrenze per il triennio 1796-1799, cercando di offrire il proprio
contributo per rivisitare la storia italiana contemporanea nella sua globalità,
affinché nel terzo millennio dell’era cristiana gli italiani possano
ritrovare nella storia nazionale elementi utili per riscoprire un’identità
perduta o comunque largamente compromessa.
Marco Invernizzi
1. Notizie dell’Istituto
Una recensione del volume di
Oscar Sanguinetti, Le insorgenze contro-rivoluzionarie in Lombardia
nel primo anno della dominazione napoleonica. 1796 (Cristianità,
Piacenza 1996) è comparsa su Verbo, revista de formación
civica y de acción cultural, segùn el derecho natural y cristiano,
serie XXXVII, n. 363-364, marzo-aprile 1998, pp. 329-330, a firma Francisco-José
Fernandez de la Cigoña Nùñez.
È in stadio di avanzata
realizzazione una ricerca — intrapresa con la sponsorship e con
il contributo del Settore Trasparenza e Cultura della Regione Lombardia
— sull’Insorgenza in Lombardia nell’arco dell’intero ventennio napoleonico.
Il primo prodotto del gruppo di lavoro dell’Istituto è costituito
da una guida bibliografica all’Insorgenza della Lombardia, redatta dopo
un’ampia ricognizione sul campo e che elencherà in forma annotata
le opere edite fino a oggi sul tema. La finalità è quella
di consolidare una prima fase dei lavori e di offrire un sussidio utile
a chi intenda occuparsi della materia, sia per sola informazione, sia per
svolgere approfondimenti. La bibliografia conterrà l’indicazione
sia di studi specificamente dedicati all’Insorgenza, sia di lavori che
contengono riferimenti più o meno estesi a essa. Verranno anche
indicati testi necessari per l’inquadramento dei moti popolari contro-rivoluzionari,
nonché opere di ausilio per la ricerca: bibliografie, raccolte,
dizionari, cataloghi, ecc.
2. Notizie e segnalazioni bibliografiche
Le insorgenze popolari nell’Italia
rivoluzionaria e napoleonica, numero monografico di Studi Storici.
Rivista trimestrale dell’Istituto Gramsci, anno 39, n. 2, aprile-giugno
1998 (Edizioni Dedalo, Bari 1998).
La rassegna di studi, coordinata da Anna Maria Rao, docente all’Università
di Napoli e membro della direzione della rivista, esprime le attuali tendenze
storiografiche del pensiero "post-gramsciano" sull’argomento. Apprezzabile
per la luce che le molteplici informazioni prodotte gettano sull’Insorgenza
italiana, nonché per l’oggettivo progresso che essa segna nel distacco
di questa scuola da una visione scolasticamente marxista e gramsciana,
la rassegna mostra limiti non trascurabili sotto il profilo del focus dell’attenzione
— vengono omessi o ridimensionati aspetti non secondari dell’occupazione
francese, come i diritti che l’occupazione stessa calpesta, le stragi,
la spoliazione degli Stati e dei municipi della Penisola — e quanto a interpretazione.
Quest’ultima risente ancora di pregiudiziali ideologiche, che la ricerca
rivela ogni giorno di più inconsistenti, che si palesano per esempio
quando si tenta di "annegare" l’insorgenza contro-rivoluzionaria in una
sequela di moti sociali che la precederebbero e la seguirebbero, oppure
quando non se ne vede la portata europea e se ne sottovaluta il movente
religioso.
Un’ampia recensione critica del fascicolo — che fa pure stato delle
posizioni storiografiche espresse dalla rassegna — è stata pubblicata,
a firma Oscar Sanguinetti, sulla rivista Cristianità, anno
XXVI, n. 282, ottobre 1998, pp. 9-19.
Giacomo de Antonellis,
Il 1799 napoletano, Club di Autori Indipendenti, Milano-Benevento
1998, pp. 87.
Il breve saggio dello storico napoletano — già noto per ampi
studi sull’Azione Cattolica Italiana — si aggiunge alla nutrita serie di
studi da lui dedicati a momenti diversi della storia della sua città
natale e del Mezzogiorno in generale. L’intento che anima la rievocazione
degli eventi che quasi duecento anni fa si dipanarono intorno all’invasione
dei francesi repubblicani, alla creazione della Repubblica napoletana e
alla sua fine a opera dell’esercito della Santa Fede guidato dal cardinale
Fabrizio Ruffo (1744-1827) è tanto la salvaguardia della memoria
quanto l’esigenza di rimettere a fuoco e reinterpretare in maniera obiettiva
un momento storico considerato come snodo decisivo ed emblematico del passaggio
dell’Italia — e dell’Italia meridionale, in particolare — dal regime "feudale"
alla modernità politica, con il corollario unitario. Un passaggio
caratterizzato da luci e ombre, da errori, da fughe in avanti, da opportunismi
e da autentici eroismi, che spesso è stato letto in maniera uniforme
e conformistica.
La vicenda viene ripercorsa nei suoi momenti più significativi
in sette brevi capitoli, cui è premessa un nota introduttiva (pp.
5-8).
* * *
Nel primo — Una dinastia meridionale (pp. 9-16) — ripropone un
giudizio sulla dinastia borbonica che ne vede i limiti, ma anche — rovesciando
immagini tenebrose, tipo "la negazione di Dio", ormai invalse nella mentalità
collettiva — la positività dell’essere una famiglia ben radicata
nell’ethos popolare e realmente intenzionata a fare il bene dei
propri popoli, poco incline all’espansionismo militare, ma assai aperta
culturalmente verso l’Europa (p. 10). Fattore di equilibrio nelle contese
e nelle lotte civili che affliggevano il Regno di Napoli da secoli, i Borboni
abbracciarono la politica riformistica settecentesca più per fare
giustizia di innumerevoli abusi maturati nel corso del tempo che per "spirito
filosofico". Alla fine del secolo "[...] Napoli e la Sicilia
[...] stavano riconquistando un’autentica dignità di Stato
unitario e sentivano il loro essere "nazione" inteso come un proprio utile
socioeconomico, una propria tradizione, una propria storia" (p. 16).
Segue un capitolo dedicato a Il Sud: sistema geografico e sociale
(pp. 17-26), che scolpisce con rapidi tratti la fisionomia geografico,
economico e sociale peculiare del Regno. Il terzo capitolo — La questione
napoletana a fine Settecento (pp. 27-32) — ripercorre gli ultimi anni
precedenti l’invasione francese, le congiure giacobine, la partecipazione
della monarchia alla lotta contro la Francia rivoluzionaria, sia sul mare
— affiancando la flotta britannica nel Mare Mediterraneo — che sulla terra
— con truppe di cavalleria che affiancavano gl’imperiali nella Valle Padana
—, l’accelerazione dell’azione politica dei nuclei rivoluzionari in vista
della nascita di un’Italia moderna. Quando — come scrive de Antonellis,
con felice senso della sintesi, nel quarto capitolo Invasione francese
e crollo della monarchia (pp. 33-40) —, dopo il fallimento della spedizione
napoletana contro l’invasione di Roma nel 1798, arrivarono i francesi,
non fu l’esercito a tentare di sbarrare loro la strada negli Abruzzi e
nel Molise, in Terra di Lavoro, alle porte della capitale, ma semplici
popolani, i cosiddetti "lazzari", che combatterono con implacabile determinazione
e con altrettanto implacabile odio furono sterminati da francesi e giacobini:
"[…] pas un habitant ne fut épargné", scrisse
il generale Paul Charles Thiébault nelle sue memorie. Mentre il
re fuggiva, i giacobini, con un colpo di mano appoggiato dai francesi,
il 22 gennaio 1799 proclamavano la Repubblica Napoletana. A essa è
dedicato il quinto capitolo La platonica Repubblica Napoletana (pp.
41-48). Alla sua testa la créme dell’intellettualità
giacobina e dei rivoluzionari di professione, già attivi in Italia
al seguito dell’Armée fin dal 1796 — per esempio il farmacista
Carlo Lauberg (1762-1834), tanto ammirato da Benedetto Croce (1866-1952),
e Giuseppe Abamonti (1759-1818) —: non pochi sacerdoti gettavano la tonaca
alle ortiche, i balli intorno all’albero della libertà segnavano
l’esordio della liturgia religiosa civile, le pubbliche concioni delle
società popolari si moltiplicavano per tentare di conquistare i
borghesi e il popolo alla causa della rivoluzione, nascevano i giornali
ideologici. Il turbine del cambiamento "filosofico" durò solo cinque
mesi. L’armata della Santa Fede, radunata dal cardinale Fabrizio Ruffo,
vicario generale di re Ferdinando di Borbone, nella sua risalita della
Penisola dopo il suo sbarco in Calabria, era ormai alle porte. L’armata
era lungi dall’essere un’"orda", come tanti narratori in mala fede
o ingannati hanno voluto fare credere: le masse e i reparti borbonici sbandati
erano stati selezionati nel corso della guerra e il cardinale aveva assunto
sempre maggiori presa e autorevolezza nei confronti dei suoi, cui si affiancavano
altresì reparti dei coalizzati. Le sconfitte francesi provocavano
il ripiegamento di questi verso nord, sì che la Repubblica si trovò
ben presto abbandonata a se stessa e alla metà di giugno dovette
subire la reazione della Santa Fede e, in un secondo momento, messo da
parte il cardinale e licenziati i contadini, la vendetta borbonica e inglese.
Lo studioso napoletano conclude — nel settimo capitolo Idealità
contro realismo (pp. 57-60) — con la constatazione che la Repubblica
napoletana segnò il primo coagularsi nel Meridione, in maniera popolare,
di quei due mondi — o "emisferi", come egli dice — separati, "repubblicani"
e "borbonici", destinati ad affrontarsi sempre più nei decenni
successivi, a partire dalla riconquista francese del 1806 e lungo tutto
il processo risorgimentale che si concluderà proprio nel Meridione
d’Italia.
De Antonellis qualifica positivamente il passaggio che nel 1799 avviene
in ambito politico dall’"idea assolutistica […] al diffondersi
di uno spirito unitario nazionale", passaggio che segna "[…]
anche l’affermarsi e il diffondersi di un pensiero politico che comincia
a coinvolgere le masse e, oltrepassando la sua origine gallica, diventa
patrimonio comune dell’intera società italiana", di cui sarebbero
portatori principali gli intellettuali "napoletani" (p. 6), che,
a suo dire, erano giudicati — forse con un po’ troppa enfasi — "[...]
in possesso di inestimabili doti tali da suscitare invidia nel mondo
intero" (p. 11). L’autore sembra risentire di diverse ascendenze, tutte
collocabili nell’area moderata. Per esempio, in questa sua valutazione
di eccellenza dei patrioti napoletani sembra riecheggiare l’elevato apprezzamento
di Benedetto Croce, tanto elevato da spingerlo nel 1932 a scagliarsi in
termini durissimi contro lo storico nazionalista fiorentino Giacomo Lumbroso
(1897-1944) che, nel suo sommario profilo dell’Insorgenza italiana I
moti popolari contro i francesi alla fine del secolo XVIII (1796-1800),
aveva "osato" mettere in luce i limiti dei repubblicani dal punto di vista
del sentimento nazionale, che peraltro Lumbroso interpreta in maniera decisamente
estensiva. Ma anche de Antonellis — e qui l’eco è quella di Vincenzo
Cuoco (1770-1823), di cui approva la tesi della "rivoluzione passiva" (cfr.
p. 43) — riconosce che limiti vi furono, fra i primi quello, fatale, del
loro eccessivo amore per l’invasore straniero — e qui l’eco è, volente
o nolente, lumbrosiana — e per la sua cultura, del loro astrattismo e del
loro idealismo, del loro mancato radicamento fra il popolo e di un’interpretazione
delle esigenze delle classi umili puramente teorica e deduttiva: "[...]
i giacobini avevano il senso della storia. Mancava loro, invece, totalmente
il senso della realtà" (p. 31).
* * *
Il volumetto — corredato da una Nota cronologica degli eventi dal
1734 al 1861 (pp. 61-70) e da una nutrita Nota bibliografica
(pp. 71-79) — per la sicura mano scientifica e per la felice vena espositiva
dell’autore, nonché per l’atteggiamento sostanzialmente equanime
di questi, che prevale sulla sua simpatia di fondo per l’esperienza repubblicana,
pare un lavoro senz’altro utile come introduzione al tema delle repubbliche
giacobine, come pure alla questione dell’Insorgenza.
Paul Hazard, La Rivoluzione
francese e le lettere italiane (1789-1815), a cura di Pier Antonio
Borgheggiani, trad. it., Bulzoni, Roma 1995, pp. 745.
L’importante studio del grande storico positivista belga (1878-1944)
— scritto nel 1910 e tradotto solo tre anni fa in italiano — è dedicato
a esaminare i rapporti e le influenze instauratisi fra la cultura letteraria
francese e quella italiana, attraverso le varie fasi dei rapporti fra i
due paesi, dall’influenza "cortese" del Settecento e dell’età illuministica
all’influsso "clandestino" degli anni rivoluzionari 1789-1796, al momento
dell’invasione, agli anni della dominazione cesareo-napoleonica, fino allo
spirare di questa e all’incipiente età della Restaurazione. Il volume
è stato oggetto di un’ampia recensione da parte di Giovanni Cantoni
in Cristianità, anno XXVI, n. 282, ottobre 1998, pp. 23-24.
3. Libri e articoli ricevuti
(La rassegna che segue riporta i titoli di opere — su temi vari —
pervenute all’Istituto, il quale non esprime alcun giudizio sulle medesime,
riservandosi, se del caso, di darne in seguito recensione).
Francesco Mario Àgnoli,
Le Pasque Veronesi. Quando Verona insorse contro Napoleone 17-25 aprile
1797, il Cerchio iniziative editoriali, Rimini 1998, pp. 285.
Andreas Hofer eroe della
fede, con una prefazione di Franco Cardini, Atti del Convegno Andreas
Hofer eroe della fede. Un popolo in movimento, Bolzano, 8-3-1997, il
Cerchio iniziative editoriali, Rimini 1998, pp. 167.
Antonio Capece Minutolo principe
di Canosa, I Pifferi di Montagna, versione in italiano corrente
di Silvio Vitale, Controcorrente Napoli 1998, pp. 152 [tit. orig.: I
Piffari di Montagna ossia Cenno Estemporaneo di un cittadino imparziale
sulla Congiura del Principe di Canosa e sopra i Carbonari. Epistola critica
diretta all’Estensore del Foglio Letterario di Londra, edizioni varie:
Dublino 1820 e 1821; Faenza (Forlì) 1822; Parigi 1832].
Franco della Peruta, Milano
nel Risorgimento. Dall’età napoleonica alle Cinque giornate,
Quaderni/11 de "Il Risorgimento", Edizioni Comune di Milano-Amici
del Museo del Risorgimento, Milano 1998, pp. 272.
La formazione della Lombardia
contemporanea, a cura di Giorgio Rumi, Cariplo-Laterza, Milano 1998,
pp. 228.
4. Segnalazioni bibliografiche
Nell’àmbito della rubrica "Dizionario del Pensiero Forte",
che appare settimanalmente, a cura dell’Istituto per la Dottrina e l’Informazione
Sociale di Roma, sul Secolo d’Italia, quotidiano di Alleanza Nazionale,
sono apparsi i seguenti articoli di collaboratori dell’ISIN:
-
Sandro Petrucci, 1797, l’Italia "rapinata" da Napoleone, in Secolo
d’Italia, 13-11-1998.
-
Giulio Dante Guerra, Lucca 1799, l’insorgenza della città-stato,
in Secolo d’Italia, 4-12-1998.
-
Giuliano Mignini, La controrivoluzione dei "Viva Maria", in Secolo
d’Italia, 18-12-1998.
Un breve articolo di Ruggero Guarini, dal titolo La rivoluzione napoletana?
Non c’è mai stata, pregevole perché, schierandosi contro
corrente, ridimensiona la montante enfasi dei media e del mondo
culturale sull’"esperimento" rivoluzionario degl’intellettuali giacobini
napoletani, è apparso su Panorama, anno XXXVII, n. 2, 14-1-1999
5. Appunti di storia dell’Insorgenza / 8
Pubblichiamo un nuovo capitolo della storia dell’Insorgenza nell’Isola
d’Elba, manifestatasi fra il 1799 e il 1802. Il primo studio è stato
pubblicato nel n. 5 della presente Nota
Informativa (anno II, gennaio-aprile 1997). L’autore, penalista
milanese e cultore di molteplici interessi storici, è uno dei più
stretti amici dell’Istituto.
Il saccheggio di Capoliveri
nell’Isola d’Elba:
un esempio di falso storico
di Benedetto Tusa