Monsignor Roberto Ronca e il movimento di Civiltà Italica di fronte al 18 aprile 1948
1. La «Lepanto italiana» in una nomina episcopale
La carriera ecclesiastica di monsignor Roberto Ronca,
nato a Roma nel 1901 e ivi deceduto nel 1977, nel secondo dopoguerra proseguì
anche — o forse soprattutto — in virtù del rilevante contributo da lui dato
alla mobilitazione anti-comunista attraverso l’organizzazione
politico-culturale, fondata negli anni immediatamente successivi alla fine
della guerra, l’Unione Nazionale di Civiltà Italica o, più in breve, Civiltà
Italica. Subito dopo la battaglia elettorale del 18 aprile 1948, il 21 giugno
successivo, infatti, il sacerdote romano, che dal settembre del 1933 ricopriva
già l’importante carica di rettore del Pontificio Seminario Maggiore della
Capitale, è elevato alla dignità episcopale in partibus con il titolo di
arcivescovo di Lepanto [1].
Secondo l’avvocato Vittorio Trocchi, che per tutto il
decennio di esistenza di Civiltà Italica (1947-1956) ne fu il segretario
centrale ,
la nomina di Ronca è sicuramente da attribuirsi alla «meritoria attività da
lui svolta e quindi alla vittoria delle difficilissime elezioni del 1948» .
Il tipo di carica episcopale conferita a monsignor
Ronca appare particolarmente significativo sia per il «richiamo» alla storica
vittoria navale conseguita dalle potenze cristiane contro i turchi ottomani, il
7 ottobre 1571, sia perché si trattava di un titolo del quale pochi anni prima
erano state fregiate prestigiose personalità ecclesiastiche quali i cardinali
Achille Ratti (1857-1939), il futuro Papa Pio XI (1922-1939), nel 1919, e
Federico Tedeschini (1873-1959), nel 1921 .
Il 19 luglio del 1948 monsignor Ronca viene anche
insignito della Prelatura del Santuario mariano di Pompei (Napoli), incarico di
rango vescovile, che terrà sino al gennaio del 1956 .
2. Il ruolo dei gesuiti nella
fondazione e attività di Civiltà Italica
Quando è ancora Rettore del Seminario lateranense,
Ronca è spinto sulla strada di un intenso e capillare impegno
politico-elettorale per rispondere alle preoccupazioni di Pio XII (1939-1958)
per l’eccezionalità dell’imminente consultazione elettorale, nonché per la
considerazione delle carenze culturali e organizzative della Democrazia Cristiana
che si opponeva all’esigenza da lui acutamente avvertita di contrastare sia le
correnti politiche socialcomuniste, sia il connesso e crescente clima
anti-cattolico, che si andava sempre più respirando nel nostro Paese. Dopo
l’esito delle elezioni amministrative dell’autunno 1946, e più ancora quello
delle elezioni regionali siciliane della primavera 1947, comincia a diffondersi
in un certo mondo cattolico una «mentalità pluralista, che portò alla
ideazione e alla progettazione di un blocco di forze politiche del
centro-destra da opporre al temuto blocco socialcomunista». In un appunto con
tutta probabilità risalente alla fine del 1946, conservato nel suo archivio
personale ,
monsignor Ronca parla già di una «nuova attività», che avrebbe dovuto
essere «[…] preparata da un comitato promotore da costituirsi in Roma
con personalità spiccatamente cattoliche e non rivestite di responsabilità di
partito, tali cioè da orientare subito, per questa loro caratteristica
personale, l’opinione pubblica e i cattolici italiani sulla natura e
l’indirizzo del movimento».
Come interlocutori in questo progetto il sacerdote romano avrà due autorevoli
gesuiti: i padri Riccardo Lombardi (1908-1979) e Giacomo Martegani (1902-1981),
quest’ultimo dal 1939 al 1955 direttore della rivista della Compagnia La Civiltà Cattolica.
La sintonia con la spiritualità dei gesuiti e la
frequentazione della Compagnia di Gesù, probabilmente coltivata fin da laico
all’Università di Roma — dove si è laureato in ingegneria nel 1926 —, hanno
connotato tutta l’esperienza sacerdotale di monsignor Ronca. Come testimonia
uno dei suoi «figli», Carlo Del Frate, che entrò negli anni 1960 nella
congregazione religiosa fondata a Roma nel 1949 da Ronca, gli Oblati della
Madonna del Rosario, nella formazione religiosa che Ronca prediligeva per i seminaristi
spiccavano gli Esercizi Spirituali del fondatore della Compagnia di Gesù: Ronca
«ci predicava gli Esercizi di S. Ignazio di Loyola [(1491-1556)] (quelli
ristretti in 5 giorni), che considerava il metodo formativo migliore, dato che
ne ricordava l’efficacia fin dall’inizio del suo ingresso come seminarista al
Laterano. Il suo primo direttore spirituale è stato probabilmente un gesuita»
.
Per quanto riguarda il ruolo di Giacomo Martegani
nella genesi e nelle attività di Civiltà Italica, lo storico Roberto Sani
afferma che «le carte personali di p. Martegani permettono di ricostruire la
genesi di “Civiltà Italica”, ed evidenziano il profondo legame tra le
iniziative del movimento di monsignor Ronca e il progetto che anima la
prestigiosa rivista romana dei gesuiti. “La Civiltà cattolica”, per i limiti imposti dal suo ruolo e per lo stretto controllo esercitato su di essa dagli organismi
Vaticani e dallo stesso Pio XII, appare a Martegani e agli altri scrittori poco
idonea a condurre fino in fondo la battaglia contro la politica degasperiana e
a promuovere un ampio fronte anticomunista» .
Alla fine del 1946, con l’approssimarsi dell’apertura dell’Assemblea
Costituente, si afferma in seno alla Civiltà Cattolica un orientamento
di netta opposizione «[…] ad ogni forma di dialogo con i partiti di
sinistra, ma anche con le forze politiche dell’area laica. Artefice di tale
mutamento di linea politica è il direttore p. Martegani, che stabilisce solidi
contatti con gli ambienti ecclesiastici romani facenti capo al Rettore del
Seminario Maggiore, monsignor Roberto Ronca, e con i partiti di destra, primo
fra tutti l’Uomo Qualunque» .
Guardando agli stretti rapporti sia di padre Martegani
che di padre Riccardo Lombardi
con monsignor Ronca, non credo si possa parlare, come fa Sani, di «differenze
tra la visione pacelliana e gli orientamenti politici de “La Civiltà cattolica”».
Come ricorda anche lo storico del movimento cattolico
Mario Casella, infatti, sono ben «noti gli stretti rapporti tra Pio XII e il
p. Lombardi», il gesuita siciliano in seguito conosciuto come «il microfono
di Dio» a motivo della sua intensa attività predicatoria svolta durante la
battaglia del 18 aprile 1948
«per espressa volontà»
di Papa Pacelli. Tanto che il Pontefice, alla morte dal cardinale vicario di
Roma Francesco Marchetti Selvaggiani (1871-1951), «[…] per un momento
pensò a dargli come successore Lombardi».
Inoltre, come ha ricordato recentemente lo storico gesuita Giacomo Martina in
un suo saggio basato sugli archivi della Civiltà Cattolica, allorquando
Martegani poté incontrare De Gasperi — presidente del Consiglio dei Ministri
dopo il 1948 —, «[…] facendogli capire le reali idee di Pio XII, che
sostanzialmente avrebbe voluto un governo capace di attuare uno Stato cristiano
[…,] ebbe una risposta molto gentile ma significativa: […] [De
Gasperi] difendeva la sua autonomia politica: Martegani certo capì, colse il
distacco delle due posizioni, l’abisso che separava Pio XII e lo statista».
Il comitato promotore di cui parlava, come abbiamo
visto, nel 1946 monsignor Ronca, e che «funzionerà da Comitato nazionale»
di Civiltà Italica, sceglierà poi una conferenza di quello stesso padre
Lombardi — che nel dopoguerra, avvicinandosi «alle forze conservatrici, in
parte raccolte attorno a “Civiltà Italica” e a monsignor Ronca», non
comprendeva, secondo il giudizio di Martina, «il realismo e l’efficacia di
De Gasperi»
— per decretare la fondazione del movimento .
Il gesuita era quindi perfettamente in linea — se non addirittura ne era
l’ispiratore — con l’iniziativa politica di monsignor Ronca e pare improbabile
che di questo suo aperto appoggio egli non avesse parlato al Papa. Tanto più
che in un foglio di propaganda intitolato Civiltà Italica, stampato in
duecentocinquantamila copie e affisso «in tutte le città» durante la
campagna per il 18 aprile, del nome di padre Lombardi era apertamente fatta
«spendita». «Chi non vede — affermava un editoriale presente nel
giornale murale — che molti, poco meno della metà degli italiani, secondo le
recenti statistiche elettorali, sono estranei alla vita pubblica, in un
isolamento ostile e sfiduciato? […] In un chiaro articolo pubblicato da
un giornale romano [],
il dotto religioso Padre Lombardi che ha così frequenti contatti con le
moltitudini, ha indicato questo tesoro inestimabile e tuttavia inerte, esprimendo
il voto che si trovi il modo di farlo fruttare per il bene comune. […]
Prima ancora che questo invito del Padre Lombardi fosse rivolto dalla tribuna
della stampa, l’idea e l’iniziativa avevano già mosso all’azione alcuni uomini
di buona volontà».
Difficilmente poi quel Martegani che, come ha
ricordato recentemente il gesuita Giovanni Sale, storico e membro dell’attuale
collegio degli scrittori della Civiltà Cattolica, «ogni 15 giorni si
recava da Pio XII a mostrare le bozze della rivista» e «per fare il
punto sugli avvenimenti d’attualità»,
avrebbe potuto «sponsorizzare» un’iniziativa come Civiltà Italica senza avere
almeno consultato Papa Pacelli in proposito.
L’importanza del ruolo di padre Martegani e degli
altri scrittori della rivista nell’ambito dell’attività di Civiltà Italica è
poi confermata dal riscontro che costoro davano di pressoché tutte le
iniziative del movimento di monsignor Ronca. In una lettera del settembre 1950
di Vittorio Trocchi a padre Martegani, per esempio, si poteva leggere: «Per
espresso desiderio di Sua Eccellenza [monsignor Ronca] le invio le bozze
del secondo numero di “Civiltà Italica”, che sarebbe puntualmente uscito il 1°
settembre se non si fosse protratta l’assenza da Roma di Monsignore e se io
avessi avuto conoscenza di questo ritardo per poter venire a conferire con Lei
prima che partisse. Si tratta soprattutto di decidere sulla organizzazione del
numero in base al sommario che io accludo alle bozze. […] Qualunque osservazione
o modifica Ella volesse suggerire degli articoli è per noi sufficiente la firma
degli autori. […] In attesa della restituzione del plico e del suo “si
stampi” la prego di benedirmi».
In un editoriale del 1950 rievocativo dei primi mesi
del movimento di monsignor Ronca, lo stesso Trocchi, ne descriveva in maniera
suggestiva motivazioni e sviluppo: «un gruppo di figli d’Italia rivolse
caldo appello a tutti gli italiani veri perché si unissero sotto il nome
prestigioso di Civiltà Italica. […] Dal gennaio ’947 Civiltà
Italica è andata via via crescendo e sviluppandosi, costituendo suoi Comitati
in ogni capoluogo di provincia e nei maggiori comuni». Fin dall’inizio
il movimento volle precisare la sua differenza fondamentale sul terreno
organizzativo e operativo rispetto ai partiti politici, di cui denunciava il
settarismo e la faziosità: «la critica e l’opposizione sono esercitate in
funzione dell’interesse di parte e risultano perciò disperatamente sterili e
negative per il bene comune, che è indissolubile dalla rinascita e dalla
prosperità della Nazione. “Civiltà Italica” ha l’ambizione di sperare che
l’essenzialità dei suoi fini e la libertà della sua organizzazione rispondano
al bisogno generalmente avvertito di una intesa comune di quella comune
ricchezza, che nessuna avversità di fortuna e ingiustizia di uomini potranno
mai rapire all’Italia se gli Italiani non verranno meno al loro destino provvidenziale».
Di conseguenza, come si indicava fin dal 1946, la
costituzione di Civiltà Italica avrebbe dovuto «[…] essere semplice
ed agile. Operare cioè per comitati, di cui è proprio il promuovere, il
chiamare a raccolta, l’agire secondo le immediate emergenze, il coordinare
forze, interpretare aspirazioni, guidare o rappresentare correnti di pensiero e
di azione; comitati di personalità cattoliche il cui nome stesso sia garanzia
oltre che di esemplare professione di fede cattolica dell’assoluta apoliticità
di parte del movimento che sono chiamati a svolgere». Nell’editoriale
sopra citato, Trocchi così sintetizza le attività svolte da quelli che erano
indicati nella primavera del 1948 come i novanta comitati provinciali di
Civiltà Italica:
«Convegni di studio, dibattiti pubblici, giornali parlati, conferenze su
problemi politici, economici, sociali e di attualità, comitati d’intesa, manifestazioni
artistiche e ricreative, concerti, itinerari turistici, mostre d’arte, sono le
attività che da tre anni svolgono in ogni città d’Italia i Comitati di Civiltà
Italica».
Credo sia opportuno sottolineare come l’operato e la
propaganda del movimento di Ronca non siano quindi esclusivamente di carattere
«elettoralistico», ma cerchino sempre di portare avanti un discorso integrale,
volto cioè a richiamare e restaurare tutti gli aspetti della tradizione
civico-culturale del Paese.
3. Il modello di riferimento di Civiltà Italica: l’Unione
Romana
Nel delineare nel 1946 i contorni della costituenda Civiltà
Italica, un suggestivo riferimento e «parallelo» ideale è indicato in quel
movimento di cattolici, l’Unione Romana (1883-1888), che, nella Capitale ormai
strappata al papato, tentò da un lato di essere espressione unitaria dei
cattolici e, dall’altro, di coinvolgere tutti i cittadini romani attorno alla
bandiera della sana e onesta amministrazione, estranea ai giochi delle fazioni
partitiche .
Nella stessa Città Eterna della seconda metà degli anni 1940, «sotto il peso
d’una disfatta»
e sospesi «tra le rovine della guerra e le incognite della pace», ci si richiama
dunque all’esperienza vissuta dai cattolici romani sessant’anni prima, in
seguito alla grande crisi aperta dalla «breccia di Porta Pia», quando «in
condizioni assai simili e malgrado la eccezionale situazione creatasi fra la Santa Sede e lo Stato italiano dopo il ’70 con la conseguente astensione dei cattolici
italiani dalla attività politica, di fronte alla necessità suprema ed immediata
di difendere la causa cattolica, sorse proprio in Roma la Unione Romana, che per il suo programma chiaramente
volto a quel solo scopo, non fu e non apparve un partito […] Non
altrimenti per una somigliante azione odierna, la quale, perseguendo
esclusivamente quegli scopi comuni, non sarebbe né potrebbe essere una attività
politica di partito, bensì azione civica; e come tale promossa e svolta
da cattolici e fra cattolici, in quanto cittadini».
Civiltà Italica sorgeva quindi nella convinzione di
rispondere alla particolare necessità del momento in cui si trovava a vivere la
nazione, in un frangente in cui, peraltro, sosteneva che vi erano «fra noi
troppi partiti», segnalandosi dunque come un movimento «trans-partitico»,
nel quale i cittadini cristiani di tutti i partiti politici o di nessun partito,
avvrebbero potuto «sinergicamente» incontrarsi a difesa dei valori del pensiero
e del costume tradizionale del popolo italiano, così da «[…] avvicinare
i partiti ed i gruppi ed a determinare tra loro il superamento di eventuali
malintesi e la frequenza di accordi ovunque ciò sia possibile, in vista di una
più ampia e più alta intesa nel riconoscimento concorde delle glorie e delle
sorti che in ogni tempo furono e saranno la luce indeclinabile dell’Italia e di
Roma».
Per Civiltà Italica «i valori morali intorno ai
quali essa chiama le forze sane della Nazione, sono forza che unisce e non
programma limitato che differenzia e divide. Uomini di partiti diversi, se
credono ai principii che alimentano la nostra civiltà e che costituiscono il
patrimonio comune di tutti gli Italiani, postulando una comune difesa, possono
aderirvi».
Monsignor Ronca e i suoi collaboratori, considerando «l’azione politica come
propria di qualsiasi attività intesa al pubblico interesse non esclusiva dei
partiti»,
assumevano il tricolore come «[…] l’unica bandiera di Civiltà
Italica: sotto la sua insegna tutto ciò che è essenziale alla vita e alla
fortuna della Patria prevale e trionfa, perché la civiltà italiana, dal patrimonio
secolare delle sue tradizioni, ha assimilato l’intuizione della verità,
l’armonia dei diversi interessi, l’anelito alla libertà nel rispetto della
legge e nella solidarietà nazionale».
4. Civiltà Italica, l’Azione Cattolica e i Comitati Civici di
Gedda
Il tipo di organizzazione, la cultura politica e il modus
operandi di Civiltà Italica che ho richiamato ricordano, come conferma
Andrea Riccardi, «[…] per tanti aspetti [i] Comitati Civici di
[Luigi] Gedda [(1902-2000)], che verranno realizzati negli anni
successivi».
Il rapporto fra le due organizzazioni cattoliche del
secondo dopoguerra merita di essere maggiormente approfondito. Esso
configurerebbe infatti una specie di «precedente», sia dal punto di vista della
originalità culturale, sia da quello organizzativo, di Civiltà Italica rispetto
all’opera di Gedda.
Il 10 e l’11 gennaio 1947 si tiene a Roma
un’importante riunione della presidenza e degli assistenti centrali dell’Azione
Cattolica, in cui si inizia, fra l’altro, a mettere a fuoco il problema
costituito dalle elezioni politiche del 1948. Non è un caso che, «[…] pochi
giorni dopo il dibattito […] in cui Luigi Gedda adombra l’idea di un Comitato
civico, si presenti, a Mons. [Giovanni] Urbani [(1900-1969)] [],
Monsignor Ronca latore di una proposta di “movimento civico apartitico di influenza
politica”».
Il 16 gennaio 1947, infatti, «accompagnati da monsignor Ronca, si presentarono
a mons. Urbani il sen. Umberto Ricci [(1878-1957) ]
e il Marchese [Anselmo] Guerrieri Gonzaga [(1895-1964) ]
per annunciare e illustrare l’imminente costituzione di un “movimento civico
apartitico di influenza politica”. […] L’iniziativa fu accolta con
freddezza dall’assistente dell’Azione Cattolica, che al di là delle
formali espressioni di interessamento, si limitò a prendere atto di quanto gli
era stato esposto, osservando come essa, pur sembrandogli “molto interessante”,
“proprio per questo esige[va] un più profondo esame”».
In un resoconto dell’incontro si legge: «Alcuni
cittadini di sentimenti cattolici, preoccupati dell’attuale situazione italiana
e scossi dalla parola recente del Santo Padre con il proposito di suscitare in
Italia una coscienza decisamente cristiana e con la volontà di illuminare e
guidare i partiti e gli uomini responsabili con la stampa e l’intervento
personale nelle vie maestre della dottrina cattolica, hanno invitato altri cittadini
— circa 300 persone — ad una conversazione tenuta da P. Lombardi Sabato
11 [gennaio 1947] nel pomeriggio. Dopo la conversazione alcuni dei
presenti si sono costituiti in Movimento civico apartitico di influenza politica.
I nomi dei più rappresentativi del Movimento sono, oltre ai due visitatori
Ricci e Gonzaga, il sen. Motta [Riccardo (n. 1875) ],
l’Ing. [Giuseppe] Nicolosi [(n. 1901) ],
il Sen. [Camillo] Cantarano [(n. 1875)], […] l’ing. Sinigaglia
Oscar [(1877-1953) ],
il Comm. Anselmo Anselmi [(1891-1953) ],
il Conte [Giuseppe] Dalla Torre [di Sanguinetto (1885-1967) ].
“Il Movimento” per non coinvolgere persone ed istituzioni che per loro natura
devono rimanere fuori della mischia politica non ammette tra i suoi componenti
ecclesiastici: tuttavia è in ottimi rapporti con Monsignor Ronca, anzi si è
giovato fino a qui della sua ospitalità, di P. Lombardi e P. Martegani.
A far parte del movimento sono chiamati tutti gli uomini di buona volontà,
di condotta morale ineccepibile, non gravemente compromessa con il passato
regime repubblichino, e non impegnati in posti di responsabilità politica nei
partiti o al governo. Pur avendo i promotori chiaro il compito e precise le
finalità del movimento (dare cioè all’Italia una fisionomia cristiana
richiamando cittadini, Enti, partiti, Governo ai doveri civici sulle
basi cristiane, onde opporsi alla marea montante del sovversivismo, e ai gravi
pericoli della guerra civile), tuttavia dichiarano che il movimento sa come
nasce, ma non sa quali potranno essere i suoi sviluppi futuri, se come si spera
troverà seguito e credito fra gli Italiani. Non pensano i promotori di peccare
di presunzione o di superbia in questo loro grandioso programma, in ogni
caso ritengono gravissimo dovere di coscienza non rimanere inerti e passivi. Si
propongono di cominciare da Roma e poi di allargarsi a tutta l’Italia, puntando
specialmente sui grandi centri. […] All’osservazione della fluidità
della situazione politica, e quale sia il loro atteggiamento nei riguardi dei
partiti attuali e possibili in futuro, essi rispondono che non hanno alcuna
pregiudiziale, eccetto quella di un cristianesimo integrale, che proprio per la
situazione fluida sentono di dover intervenire per orientare popolo, partiti e
governo, mediante memoriali chiari ed esaurienti. […] Il Marchese
Gonzaga fa qualche rilievo sulla politica debole di De Gasperi e sugli errori
della D.C. Mons. Urbani prende atto di tutto quanto gli è stato detto, osservando
come tutto ciò è molto interessante, ma proprio per questo esige un più
profondo esame, aggiungendo che essendo l’A.C. alle dipendenze della Gerarchia,
assicura che informerà di tutto i Suoi superiori. Il Sen. Ricci riafferma che
la visita non ha altro scopo che quello di far conoscere il Movimento al
Vescovo dell’A.C., che rappresenta in Italia la più forte organizzazione delle
forze cattoliche. Semplice comunicazione che si è creduto doversi fare all’A.C.
prima di presentarsi, come ci si propone, ai vari partiti e a tutto il paese» .
5. L’ostilità dell’Azione cattolica
Due giorni dopo la visita a mons. Urbani, il 18
gennaio del 1947, i direttori e gli amministratori dei quotidiani cattolici italiani
si recano nella sede dell’Azione Cattolica per uno scambio di idee sulla
situazione politica. Dal resoconto di questa discussione è possibile trarre
alcuni elementi che «giustificano» il mancato appoggio dell’Azione Cattolica al
movimento di Civiltà Italica. L’allora assistente generale dell’Azione Cattolica
informa infatti i presenti del colloquio da lui intrattenuto con Ronca,
Ricci e Guerrieri Gonzaga, «al che mons. [Giulio] Guidetti []
rilev[a] che “queste iniziative nuocciono alla compattezza dei cattolici
che hanno bisogno di un partito forte”».
L’Azione Cattolica in seguito si esprimerà svariate
volte negativamente a proposito di Civiltà Italica. Nella riunione della
Presidenza generale del 18 giugno 1947 Vittorino Veronese (1910-1986), Urbano
Cioccetti (1905-1978) ,
Armida Barelli (1882-1952) e mons. Sergio Pignedoli (1910-1980)
respingeranno il contenuto di alcune non meglio specificate «note inviate in
via riservatissima» da monsignor Ronca a mons. Urbani, incaricando
l’assistente generale di esprimere «in modo chiaro» alla Commissione
episcopale il parere della Presidenza. Si può leggere nel verbale di quella
riunione: «La Presidenza è unanime sulla necessità di non creare confusioni
che possano ancora di più disorientare l’opinione dei cattolici, soprattutto è
necessario che sia tenuto fermo il principio che è compito dell’A.C. esplicare
attività ed iniziative per illuminare la coscienza civica degli italiani». Autorevoli
esponenti dell’Azione Cattolica, nonostante il suo intenso impegno
propagandistico, manifestano diffidenza nei confronti di Civiltà Italica anche
alla vigilia del 18 aprile: «Al presidente diocesano di Rieti che si era
favorevolmente espresso nei confronti dell’organizzazione di monsignor Ronca
(lettera a Veronese del 26 gennaio). Il segretario dell’AC Palma così risponde
il 5 marzo 1948: “Civiltà Italica è un movimento nato circa un anno fa e
che fa capo a buoni cattolici: ha preso le mosse dalle note conferenze che il
P. Lombardi ha in questi ultimi tempi tenute un po’ dappertutto in Italia. Non
è un partito politico e mantiene abbastanza buoni rapporti con la D.C. L’A.C. pur guardando senza prevenzione alcuna ogni movimento che tenda ad imprimere
nell’animo degli italiani, soprattutto in quella massa di indifferenti e freddi,
un sentimento di comprensione dei doveri civici, ha ritenuto — e questo lo
scrivo in forma strettamente riservata e personale — di non incoraggiare
eccessivamente nuove iniziative al fine di non generare nel pubblico
perplessità e confusioni, dato che non mancano nel campo cristiano iniziative
ed attività alle quali uomini di buona volontà possono dedicarsi servendo così
la propria fede cattolica”. Nella sua lettera a Veronese, il presidente di
Rieti aveva scritto che Civiltà Italica ha scopi “in massima parte”
corrispondenti “ai nostri”, e cioè: “valorizzazione della persona umana,
democrazia intesa non come sopraffazione della libertà individuale, rispetto
della proprietà, dovere di amore e carità cristiana verso i nostri simili,
elevazione materiale e morale dei lavoratori, esaltazione della famiglia,
ecc.”» .
Di diverso avviso, ancora una volta, con parte della
dirigenza dell’Azione Cattolica, è il professor Gedda che, nello Schema di
organizzazione, che presenta alla riunione dei Presidenti e degli
assistenti centrali del 6 febbraio 1948, prevederà esplicitamente che dei
Comitati Civici possano far parte anche persone e realtà non legate all’Azione
Cattolica, suscitando le perplessità di alcuni dirigenti dell’associazione, fra
cui il presidente della Federazione Universitaria Cattolica Italiana maschile Alfredo
Carlo Moro (1925-2005). «Aveva forse Gedda, nel suo progetto, previsto la
possibilità di un aggancio anche in direzione di formazioni politiche o
parapolitiche di destra? — si chiede in proposito lo storico Mario Casella
— Sembra probabile. Se infatti è vero che nello “Schema di organizzazione”
illustrato da Gedda ai presidenti e agli assistenti centrali era genericamente
detto che il “coordinamento” doveva riguardare “tutte le opere cattoliche collaterali
all’A.C.I.” e “ogni altra forza” ritenuta “utile […] in vista del
maggiore apporto possibile alla battaglia elettorale”; è altrettanto vero che
nel primo “indirizzo” programmatico del “Comitato Civico Nazionale” si faceva
esplicito riferimento a Civiltà Italica».
6. Il programma politico di Civiltà Italica
Civiltà Italica sorge nell’ipotesi del
pluralismo politico dei cattolici — riconoscendo che «non tutti i credenti
militano in un partito»
— e tenta di garantire un coordinamento delle iniziative di difesa degli interessi
della Chiesa, nonché dei vari cattolici militanti nei diversi partiti. «Avrebbe
potuto definirsi — si dice in un suo manifesto — con un respiro più
vasto CIVILTÀ CRISTIANA, ma volle, conservando la forza della missione universale,
esprimerla in una più stretta aderenza alla Patria che è in virtù di un
privilegio e di un primato accordati dalla Provvidenza e confermati dalla
storia d’Italia, il centro irradiatore di quella universalità».
Il richiamo alla tradizione di Roma cristiana e alla
sua missione universale, una proposta di civiltà fondata sul magistero sociale
della Chiesa, nonché su un ordine morale e sociale specificatamente cristiano —
quell’ordine sociale, com’ebbe a scrivere Ronca, «[…] che è
l’ambiente nel quale il cristiano può liberamente attendere al proprio
perfezionamento naturale e soprannaturale»
— sono i tratti essenziali del bagaglio ideale del movimento. Esso si schiera
di conseguenza per: (a) l’intangibilità del Concordato del 1929, «per il
rispetto della Religione Cattolica come religione dello Stato», coerentemente
con la «prassi cristiana dei rapporti fra la Chiesa e lo Stato, così come sono definiti nei Patti Lateranensi e quindi nel mantenimento e
rispetto integrale di questi»;
(b) «la indissolubilità della famiglia e l’integrità del diritto dei genitori
ad educare la prole»;
e (c) «la funzione sociale della proprietà», in una «sintesi»
però che, alla stregua dell’insegnamento di padre Lombardi, avrebbe dovuto «[…]
contemperare la libertà individuale con la solidarietà sociale».
7. L’anti-comunismo di Civiltà Italica
L’efficacia e l’originalità dell’impegno anti-comunista
di Civiltà Italica in occasione della battaglia del 18 aprile si ravvisa sia
nella profondità della sua analisi — e conseguente confutazione delle dottrine
marx-leniniste, condotta mediante efficaci «sintesi» propagandistiche indirizzate
ai ceti popolari —, sia nel ricorso a notizie e descrizioni «di prima mano» dell’esperienza
sovietica, provenienti da testimoni che l’avevano vissuta in prima persona.
Da un Appunto non firmato conservato
nell’Archivio di monsignor Ronca, redatto presumibilmente subito dopo il 18
aprile 1948 e intitolato «Piano “R” e anticomunista: diretto a recuperare i
comunisti in buona fede», apprendiamo che nel «materiale preparato [in
vista delle elezioni] per i 100.000 attivisti del piano “R” mobilitati da
Civiltà Italica», sono compresi: La tattica, ossia un «opuscolo
di studio approfondito dei testi classici del comunismo sulla sua tattica e
strategia politica», Io operaio in Russia e Io contadino in
Russia: di entrambi fascicoli è autore Ettore Vanni, operaio italiano
comunista, che negli anni 1940 si era recato personalmente in Unione Sovietica
e ne era tornato anti-comunista ,
il primo dei quali «[…] illustrante in modo pratico e veritiero le
condizioni degli operai nell’U.R.S.S.»
e il secondo sulla vita dei contadini in Russia.
Del «bagaglio» del propagandista di Civiltà Italica facevano poi
parte risme di «fogli recanti la riproduzione fotografica dei testi della
legislazione sovietica circa i lavoratori nelle edizioni ufficiali del Partito
Comunista: per l’operaio, per il contadino, per l’artigiano e il piccolo
proprietario, per l’intellettuale, impiegato, libero professionista». Ciascuno di questi
fogli, la cui tiratura complessiva sarebbe consistita, secondo i compilatori
dell’Appunto, in ben «14.000.000 copie», recava quella che veniva
denominata la «sfida di Civiltà Italica», in base alla quale il
movimento «[…] si impegnava a versare un milione di lire a chiunque
dimostrasse falso, inesatto, ecc. quanto ivi riportato».
Alla diffusione di questo «stile» di lotta anti-comunista,
che non era, né voleva apparire, né umorale né passionale — nel senso deteriore
del termine —, bensì scientificamente e politicamente fondato, il movimento di monsignor
Ronca contribuì anche dopo la vittoria alle elezioni. Stampando per esempio a
Roma, e diffondendo dalla fine degli anni 1940, il breve saggio
storico-politico di un «fuoriuscito» dal comunismo staliniano, Ivan Krasnov,
intitolato L’enigma del 1938 ovvero del potenziale bellico dell’URSS .
In esso, fra le altre cose, si ammonivano le potenze occidentali a proposito
del «servizio di informazioni» di cui disponevano prima della guerra — e su cui
potevano pienamente, se non di più, ancora contare — i bolscevichi, «ben più
addestrato ed efficiente di quello di ogni altro Paese […] avvalendosi
pure delle quinte colonne dell’estero».
Anche a motivo di ciò, monsignor Ronca svolgerà — presumibilmente a livello
riservatissimo — un’attività di aiuto ai resistenti anti-comunisti dei paesi
del socialismo reale. Di quest’azione è fatta menzione da una fonte che può
ritenersi attendibile, ovvero un giornalista campano, Antonio Morese, che nella
prima metà degli anni 1950 conobbe bene il Prelato di Pompei, sia perché
appartenente, come egli si definiva, a quel numero di «laici [che] pur
auspicandosi una società più umana, più giusta ed egualitaria […] restano
ammiratori delle stupende Opere fondate da Bartolo Longo», sia perché
contribuì in prima persona alla campagna di diffamazione che il quotidiano
comunista Paese Sera ,
insieme ad altri, avevano orchestrato contro monsignor Ronca per infangarne la
figura e per favorirne l’allontanamento da Pompei. Come lo stesso Morese rievocherà
nel 1994, Ronca in quegli anni «aiuta a espatriare i fuoriusciti dai Paesi
dell’Est: promuove la nascita di periodici e giornali stampati in russo,
polacco, ceco che, clandestinamente, farà pervenire negli Stati d’oltrecortina.
Tra queste testate da ricordare “Fronte Est” (settimanale che tirava oltre
50.000 copie)».
Al Prelato di Pompei non erano del resto affatto sconosciuti i legami e i
finanziamenti che il Pci riceveva dall’Internazionale comunista se, nel «Materiale
preparato» in vista delle elezioni del 1948, diffonderà anche, e in un
milione di copie, un «“Documento segreto”, rivelante i legami del comunismo
italiano con il Cominform».
Su tale aspetto batterà anche negli slogan coniati per la campagna
elettorale, fra cui primeggia «il motto conclusivo posto sul manifesto
tricolore […]: “Italiani votate per chi volete ma votate per gli italiani”».
Varie pubblicazioni anti-comuniste a livello nazionale
furono in seguito promosse per iniziativa di monsignor Ronca e di Civiltà
Italica, fra le quali non può non essere ricordato il vero e proprio «manuale
anti-comunista», edito nel 1953 in collaborazione con la casa editrice Cappelli
di Bologna, scritto da un sacerdote da sempre vicino al vescovo romano, mons.
Ugo Lattanzi (1899-1969), e intitolato Occidente in pericolo ).
Subito dopo il 1948 troviamo don Lattanzi impegnato come «Direttore
Nazionale dei Corsi Specializzati» del «Centro di Lotta
Anticomunista-C.L.A.C.», costituito a Roma sotto la presidenza di un «delegato
del Comitato Superiore di Civiltà Italica». Organizzazione sorta «contro
il comunismo e ogni forza para-comunista», ponendosi come scopo precipuo «la
costituzione ed il funzionamento delle scuole di specializzati per una azione
organica e sistematica di difesa della invasione del marxismo in Italia» .
Tutto quanto finora esposto, sta a dimostrare come il
comportamento di monsignor Ronca sia stato diverso da quello di quei vescovi,
preti e attivisti cattolici italiani che, come ha scritto Mario Casella, «dopo
aver dato il loro contributo alla battaglia per la “civiltà cristiana”, consideravano
chiusa l’emergenza, e si ritirarono per riflettere e per progettare una presenza
nella società italiana più attenta alle ragioni dello spirito e pastoralmente
maggiormente aperta ai “diversi” e, come si diceva allora, ai “lontani”».
Sebbene nel suo impegno anti-comunista Civiltà Italica
tentò, come ricorda anche Morese, «[…] di riunire quanti più
intellettuali fosse possibile per avversare il Marxismo», convinti però
che il comunismo non rappresentasse «il nome di un’unica infezione
spirituale; ma il termine equivoco che si applica a molte infezioni gravi
spirituali dalla eziologia non soltanto diversa, ma contraria» ,
gli attivisti mobilitati da monsignor Ronca ebbero sempre ben presente
l’infiltrazione dell’ideologia marxista nei ceti popolari. Per la campagna del
18 aprile furono per esempio diffuse «30.000 copie per 15 numeri di
pubblicazioni umoristiche, accette ad una massa impenetrabile ad ogni altra
pubblicazione, assumendo però un contenuto fortemente anticomunista, inviate a
20.000 barbieri».
L’attenzione di monsignor Ronca fu rivolta in particolare alle periferie
romane dove, fra la fine degli anni 1940 e l’inizio dei 1950, «il comunismo
ha potuto lavorare in terreno fertile senza sforzo malgrado che non sia mancato
e non manchi l'assistenza dei Sacerdoti». In un Appunto redatto per
il vescovo romano, si sottolinea la consapevolezza della necessità di un impegno
anti-comunista politico e laicale, in quartieri dove «i comunisti lavorano
indisturbati e sono così solidali e accaniti nella lotta (che essi chiamano
lotta per la vita, contro gli sfruttatori della classe operaia), che anche
giovani di buone opinioni, temono parlare tra quegli operai imbevuti di
comunismo».
Nelle attività di Civiltà Italica non manca quindi la formazione dei giovani,
come documenta per esempio il corso del 4-6 febbraio 1951, al quale
partecipano «100 giovani provenienti dalle Regioni dell’Italia Centro-Meridionale,
[…] scelti accuratamente dai nostri dirigenti regionali e provinciali,
secondo le istruzioni date dalla Segreteria Centrale, e fra gli elementi più
attivi e volenterosi di varie tendenze politiche: liberali, socialdemocratici,
monarchici, repubblicani, iscritti o simpatizzanti al M.S.I., democristiani».
8. I «settori di propaganda» di
Civiltà Italica nelle elezioni del 18 aprile
In un’opera celebrativa edita nel 1968 in occasione del ventennale dell’episcopato di monsignor Ronca, riferendosi all’attività di
«apostolato politico» svolta dal movimento, si sottolinea come esso si sia
impegnato «[…] soprattutto nella grande battaglia politica dell’anno
1948», svolgendo un’«[…] opera decisiva nel campo propagandistico
e organizzativo».
I «settori di propaganda» di Civiltà Italica, «debitamente preordinati e coordinati»,
consisterono in «affissioni di manifesti murali in tutti i capoluoghi di
provincia e città con oltre 30 mila abitanti. Volantini aerei. Comunicazioni
alla stampa. Diramazione di due Agenzie elettorali V[otate], […] striscioni
in cellofane per le auto, vendita di distintivi “V” in 50 città italiane. […]
Testi per la radio. Inoltre è stato diramato un complesso di lettere, circolari
chiuse e indirizzate “ad personam”, o aperte con affrancatura stampa ai
seguenti enti, organizzazioni e persone: Comitati Civici Diocesani, LL.EE. i
Vescovi, i Presidenti e Direttori di Federazioni Nazionali e associazioni
provinciali degli industriali, agricoltori e commercianti, Presidenti
provinciali di Civiltà Italica, Direttori di giornali quotidiani, esclusi i 17
di netto carattere e tendenza frontista, Segretari comunali, Segretari
provinciali dei seguenti partiti: D.C., P.S.L.I., P.L.I., U[uomo].
Q[ualunque]., P[artito]. M[onarchico]., P[artito].
R[epubblicano]., 2.500 agricoltori scelti tra i principali del paese e
1.003 industriali scelti tra i principali del paese».
Oltre che nel campo della pubblicistica, Civiltà
Italica s’impegnerà anche in quello cinematografico. Per la campagna del 1948,
infatti, produrrà direttamente e divulgherà «in centinaia di copie tre films
documentari:1) Il discorso del Santo Padre ai Romani nella domenica di Pasqua [1948];
2) “Voto vale vita”: intervista cinematografica del Presidente del Consiglio [Alcide
De Gasperi],[…] e dell’On. Pastore [Giulio (1902-1969)]; 3)
“Aiutati che Dio ti aiuta”».
La propaganda attraverso gli slogan, coerente
con il carattere fortemente patriottico di Civiltà Italica, susciterà negli
italiani esclusivamente «ideali capaci di ristabilire una profonda e feconda
unità nazionale».
Esempi di motti lanciati durante la campagna elettorale che, secondo il
movimento, riscuoteranno «pieno successo», saranno fra gli altri: «“votate
Italia”, “la difesa sul nuovo Piave”, “la difesa della civiltà latina e cristiana”».
Come ebbe a scrivere in seguito Vittorio Trocchi ,
«nel grande cimento della battaglia elettorale del 18 aprile, l’opinione
pubblica rimase colpita dall’azione di Civiltà Italica, che, attraverso,
la sua propaganda, contribuì decisamente a sensibilizzare i cittadini,
svolgendo, tra le altre, quella campagna del piano “V” che invitava gli
italiani ad andare alle urne per compiere il più importante dovere, che è anche
il primo diritto del cittadino democratico; campagna integrata da propaganda di
italianità invitante a dare il voto ai partiti sinceramente democratici, a
tutti quei partiti cioè che offrivano garanzie di ordine, di giustizia, di
libertà; postulati che sono poi i principi etico-politici di Civiltà
Italica».
Monsignor Filippo Caraffa (1909-1988), vice-rettore
del Seminario Maggiore durante la «reggenza» Ronca, e suo vicario generale a
Pompei dal 1951 al 1955, testimonierà come nello sforzo per la campagna del 18
aprile, Civiltà Italica non possa contare molto sul supporto finanziario del Vaticano,
puntando piuttosto su viaggi negli Stati Uniti da parte di simpatizzanti, al
fine di sollecitare raccolte «di fondi per far fronte alle spese della
campagna elettorale; che Civiltà Italica ha sostenuto in modo ingente senza
chiedere alla Santa Sede se non un contributo di carta da stampa secondo la
domanda a suo tempo fatta […] nel marzo 1948. Ed in seguito alla quale
potemmo ritirare più di 10 milioni in carta in bobina di cui sono stati pagati
i nove/decimi circa».
9. La fine di Civiltà Italica
Il mancato appoggio dell’Azione Cattolica a Civiltà
Italica dovrebbe far riflettere, considerando la fiducia che sembrava
nutrire Pio XII sia verso monsignor Ronca, sia verso il suo movimento, una
fiducia tale da indurlo per un certo periodo di tempo addirittura a pensare di
poter puntare su di esso in vista della scadenza elettorale del 18 aprile 1948.
E credo che tale mancato appoggio si possa far risalire allo stesso Gedda.
Questi, ripercorrendo nel suo memoriale l’udienza concessagli da Papa Pacelli
il 9 gennaio 1947, riferisce infatti che, in previsione delle elezioni
dell’anno successivo, «il Santo Padre menziona Civiltà Italica, una
iniziativa politica di Monsignor Ronca», quale fattore di successo, al che
egli obietta «[…] che meglio sarebbe riprendere l’Unione Elettorale
Cattolica nominata dai Vescovi».
Tale posizione non deve comunque interpretarsi come una differenza nell’analisi
politico-culturale della situazione italiana se, rileva anche Mario Casella, «almeno
in parte, e soprattutto sul terreno dell’anticomunismo, ma in termini meno
politicizzati, c’è in Gedda, all’inizio del 1947, una coincidenza di interessi
e di posizioni con monsignor Roberto Ronca e la nascente Civiltà Italica». Il parere contrario
del professore veneto all’utilizzo del movimento dell’allora Rettore del
Seminario Maggiore di Roma nell’imminente «scontro di civiltà» del 18 aprile,
potrebbe piuttosto risalire alla sua analisi dell’estrazione politico-culturale
e delle opinioni fino ad allora espresse da parte della classe dirigente
dell’Azione Cattolica, che lo avevano persuaso che Civiltà Italica non avrebbe
sicuramente avuto il suo appoggio da quegli stessi uomini e donne allora a capo
del laicato organizzato italiano.
Esattamente un anno dopo, il 20 gennaio 1948, la
situazione infatti evolverà nel senso di una investitura da parte di Papa Pio
XII a Gedda in relazione al compito di affrontare organizzativamente
l’imminente battaglia elettorale. Così quell’iniziativa sulla quale puntare
che, nel 1947, pareva a Gedda essere qualcosa di simile all’Unione Elettorale
Cattolica (UECI) del 1906-1919 — e che aveva contrapposto a Civiltà Italica —,
diventa ora una realtà che sotto più di un aspetto assomiglia a quest’ultima.
Il professore racconta infatti che, quel giorno, nel congedarsi da Pio XII dopo
un’udienza privata, «durante il percorso penso a come chiamare il movimento
elettorale che avevo ricevuto l’incarico di formare, senza che esso si confonda
con l’Azione cattolica o con la Democrazia Cristiana, e mi viene in mente il nome che fu quello definitivo e fece epoca: Comitati Civici».
In questa luce si situa, pochi mesi prima di questa
udienza, il fatto, riportato da Andrea Riccardi, «[…] che Civiltà
Italica ricevesse risposta negativa, nel giugno 1947, alla domanda di tenere
conferenze nelle sale delle parrocchie romane: è il card. [Francesco]
Marchetti [Selvaggiani (1871-1951) ]
che porta questa proposta al papa in udienza, e ne riceve un rifiuto (“non
esperire”)».
Ma forse, prima e più del parere di Gedda, a decidere la sorte dell’iniziativa
politico-culturale di monsignor Ronca, contribuisce la linea alternativa
dell’allora Sostituto alla Segreteria di Stato mons. Giovanni Battista Montini.
«In un appunto di monsignor Ronca, del giugno 1945 — scrive Riccardi —,
si nota come il Sostituto non fosse del tutto soddisfatto delle iniziative
politiche del rettore: questi per la sua intraprendenza, anche in campo
organizzativo ed economico, veniva a urtare con altri interessi e varie volte
il Sostituto garbatamente lo riprende».
All’indomani della vittoria elettorale del 18 aprile,
la linea favorevole all’unità politica dei cattolici nella Democrazia Cristiana
conquista anche ecclesiastici dalla cultura politica assai distante da quella
del futuro Papa Paolo VI e più affine invece a quella di monsignor Ronca. Oltre
alla presenza e al lustro riportato dai Comitati geddiani, questo elemento compromette
definitivamente ogni residua possibilità di sviluppo per Civiltà Italica. Il card.
Ernesto Ruffini (1888-1967), arcivescovo di Palermo, è il primo e più
autorevole esponente «conservatore» a prendere esplicitamente le distanze dal
movimento di monsignor Ronca: «La Civiltà Italica — scrive ad esempio il porporato in una lettera a mons. Montini del 30
luglio 1948 —, comincia con dire che non è un partito, ma in realtà ha un programma
sociale-politico: collaborazione di classe, alleanza dei partiti affini,
ufficio sindacale ecc. Non sarà, in pratica, un movimento antidemocristiano? Sta
il fatto che Civiltà Italica porta via soggetti all’Azione Cattolica e al suo
apostolato».
L’alternatività fra l’iniziativa del professor Gedda e
quella di monsignor Ronca alla vigilia delle elezioni del 18 aprile non deve
far pensare, ancora una volta a una divergenza politico-culturale fra loro o a
una mancanza di collaborazione fra i due movimenti. Anzi, in talune località
del Mezzogiorno, come a Taranto, Civiltà Italica risulterà addirittura «[…]
completamente confusa coi Comitati Civici». Per non parlare
poi dei frequenti incontri a Roma fra Ronca e Gedda prima, durante e dopo la
cosiddetta «operazione Sturzo» ,
ovvero un’alleanza elettorale fra cattolici e conservatori alternativa alla Dc,
messa in atto sotto la regia di Ronca per impedire la vittoria socialcomunista
nelle elezioni comunali romane. I due principali elementi che uniscono le due
organizzazioni cattoliche sono, in primo luogo, la volontà di smascherare, come
si può leggere in uno degli Appelli elettorali del Comitato Civico nazionale, «[…]
l’ipocrisia di coloro che mal celano i loro propositi di asservire l’Italia
al regime sovietico».
In secondo luogo, la contrarietà all’ideologia dell’unità partitica dei
cattolici, dato che, riprendendo le parole dello stesso appello, «ci sono parecchi
partiti che non vi tradiranno, né come lavoratori, né come italiani».
Una delle finalità costantemente perseguite da
monsignor Ronca e da Civiltà Italica è appunto quella di creare «[…] un
accordo con le destre in opposizione alle sinistre, onde schiacciare la formula
centrista in un ampio fronte anticomunista» .
Ciò nella piena consapevolezza che, come si legge in un Pro-memoria del
movimento, «[…] anche i partiti di destra possono giovare molto
all’Italia e che gli iscritti all’Azione Cattolica possono aderire ad essi
liberamente perché i tempi sono cambiati».
Nonostante le ripetute manifestazioni d’insofferenza
di Pio XII verso il comportamento politico della Democrazia Cristiana, la sua «mancanza
di giudizio» — febbraio 1948 —, il suo mostrarsi «disorientata e assente»
nell’affrontare le urgenze pressanti del momento storico — luglio 1948 —,
nonché il fatto che essa «[…] non si cura della sua base elettorale»
— dicembre 1948
—, pare che proprio la linea anti-Dc, portata innanzi a Roma da monsignor
Ronca, «[…] fu una delle cause»
nel 1956 del suo «dimissionamento» dalla diocesi di Pompei per essere inviato, senza rilevanti incarichi,
a Roma.