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a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale


inserito il 26 luglio 2014


Nicola Lugaresi

La Chiesa e la guerra dalla "guerra giusta" al Novecento


Questo articolo prende spunto da un’opera di Daniele Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti (il Mulino, Bologna 2008, 330 pp., € 25), che colma un vuoto in ambito storiografico, rappresentato dai rapporti fra cattolicesimo e promozione dei conflitti e della pace nel corso del Novecento.

In questo àmbito diverse ricerche si sono svolte a inizio anni 1980 in relazione alle figure dei preti-soldato e dei cappellani militari nella Grande Guerra (1); mentre la figura di Benedetto XV (1854; 1914-1922), il papa della prima guerra mondiale, è stata approfondita solo recentemente, tanto da essere definito come il "papa sconosciuto" del Novecento (2). Successivamente l’Istituto di Scienze Religiose di Bologna, guidato da Giuseppe Alberigo, ha promosso una profonda attività di ricerca sul Concilio Vaticano II (1962-1965), inteso come momento di ricongiunzione fra Chiesa e modernità. Oggi diversi studiosi provenienti da quell’ambito, fra cui anche Menozzi, ripropongono, con diverse varianti, una lettura del Concilio e del papato di san Giovanni XXIII (1881; 1958-1963) come svolta sostanziale dell’atteggiamento cattolico nei confronti della società, caratterizzato dalla capacità di arrivare a un’apertura, a un compromesso con i "segni dei tempi" (3). L’"età della catastrofe" — come l’ha definita lo storico Eric John Ernest Hobsbawm (1917-2012) (4) — rappresentò senza dubbio uno dei più qualificanti "segni dei tempi" a fronte dei quali la Chiesa Cattolica dovette tracciare un profilo etico da seguire, ridefinire le proprie posizioni per continuare la propria missione tra le genti. Questo volume rappresenta una delle più esaustive sintesi sul rapporto della giustificazione religiosa dei conflitti nel secolo XX (5).

Menozzi è professore ordinario di Storia Contemporanea presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. È uno dei più importanti studiosi in Italia di storia della Chiesa in età contemporanea. Allievo di Giuseppe Alberigo (1926-2007) e di Giovanni Miccoli, collaboratore presso l’Istituto di Scienze Religiose Giovanni XXIII di Bologna, durante la sua carriera accademica ha pubblicato numerosi volumi riguardanti il rapporto fra Chiesa e modernità.

La ricerca ha come oggetto l’atteggiamento della Chiesa Cattolica nei confronti dei conflitti, in particolare riguardo alle due guerre mondiali. Nella sua analisi Menozzi ha preso in esame l’atteggiamento dei vari papati che si sono susseguiti da Benedetto XV (1854; 1914-1922) fino a Giovanni Paolo II (1920; 1978-2005), tenendo in considerazione anche i settori della cultura cattolica, in àmbito occidentale, che hanno manifestato particolare interesse nei confronti della legittimità della guerra, nella loro capacità di fornire o meno una giustificazione etico-religiosa alla pratica bellica.

L’analisi parte dal dato odierno per cui "[…] si è fatta strada nel magistero pontificio una nitida affermazione del legame tra giustizia sociale e azione nonviolenta" (6). Nella società odierna l’azione non violenta rappresenta, per il cristiano, un mezzo idoneo ed efficace al fine di conseguire la vera pace e la tutela dell’ordine sociale. Tuttavia nella riflessione cattolica dei secoli precedenti al XX, questa sensibilità, complici differenti condizioni etico-sociali, non era presente.

La Chiesa nei secoli medievali aveva sviluppato un atteggiamento differente, a partire dalla svolta costantiniana del IV secolo, caratterizzato dal costante richiamo alla cosiddetta dottrina della "guerra giusta": una riflessione teologica ispirata dal giusnaturalismo tomistico che — nonostante aggiornamenti e revisioni, in base ai vari contesti politici — ha garantito una moralizzazione del ricorso alla forza armata stabilendone uno iustus modus, al fine di rendere conformi i conflitti all’etica cristiana. La legge naturale, intesa come norma costitutiva e fondante della società civile, deve essere infatti difesa e tutelata. In tal senso, la guerra per la tutela dell’ordine sociale e quindi di autodifesa di una comunità (ad vim repellendam) o per la restaurazione del diritto (ad iura sancienda) era concepita come diritto naturale, un mezzo legittimo per raggiungere un fine proporzionalmente superiore, la giustizia tra gli uomini.

L’analisi di questa apparente evoluzione prospettica nella considerazione dei conflitti parte dalla famosa nota ai governanti dell’agosto 1917 di Benedetto XV (7). Già con l’enciclica Ad beatissimi apostolorum principis del 1914 (8), il pontefice aveva dichiarato la propria neutralità allo scoppio della Grande Guerra. L’imparzialità assoluta del papa — nei confronti di un conflitto che vedeva inquadrati negli opposti schieramenti circa i due terzi dei cattolici del mondo — era sorretta da una visione provvidenzialistica del conflitto, in cui si manifestavano ancora le reticenze verso la società moderna tipiche della chiesa ottocentesca. Secondo questa lettura del conflitto, la guerra si configurava come castigo divino imposto a una società occidentale europea che si era allontanata dal cristianesimo, attraverso un processo di secolarizzazione che aveva distolto l’uomo e la società da Dio e dalla religione, elementi fondamentali per garantire le pace fra gli uomini. Inoltre la guerra, secondo diversi settori della cultura cattolica ispirati dal controrivoluzionario Joseph De Maistre (1753-1821), assumeva una funzione catartica, un valore rigeneratore. Era un’occasione per rifondare, sulle macerie delle violenze, una società interamente cristiana e ricondurre la vita collettiva sotto la guida della Chiesa.

La nota ai governanti dell’agosto 1917, con quel famoso appellativo di "inutile strage" (9), stabilì una delegittimazione morale del conflitto che mise in luce drammaticamente il contrasto fra magistero papale e chiese nazionali, le quali nel frattempo, si erano schierate con i rispettivi governi. Anche uno strumento devozionale come il culto del Sacro Cuore di Gesù, promosso da papa Della Chiesa per la promozione della pace, intesa come diffusione del regno dell’amore di Cristo, venne piegato alle esigenze dei nazionalismi: "il ricorso alla devozione veniva presentato da esponenti delle chiese delle due parti in conflitto come una garanzia di sicura vittoria per i rispettivi eserciti" (10). Questo atteggiamento è documentato da due casi eclatanti: la consacrazione al Sacro Cuore di Gesù delle nazioni della Triplice Intesa — Francia, Regno Unito e Russia — a Paray le Monial, in Francia, nel marzo 1917 e della persona dell’imperatore Francesco Giuseppe (1830-1916) d’Austria-Ungheria nel dicembre 1914.

L’insistenza dell’azione diplomatica di Benedetto XV viene inquadrata all’interno della lunga tradizione della cristianità classica medievale in cui al pontefice era attribuito un supremo potere di arbitrato sulle nazioni cristiane. Tuttavia il documento rappresentò, secondo Menozzi, una prima fessura nella compattezza e coerenza del "principio di presunzione", secondo il quale era lecito delegare alle autorità civili il compito di stabilire la liceità o meno di un conflitto. Definendo il conflitto come "inutile strage", Della Chiesa voltava le spalle per la prima volta all’applicazione della teologia della guerra giusta: viste le dimensioni e le atrocità del conflitto, cadeva la proporzionalità fra mezzi e fini necessaria a legittimare lo scontro. La proposta di pace non ebbe seguito, secondo Menozzi, perché il contesto complessivo in cui venne lanciata — caratterizzato dalla volontà di riproporre il papato come supremo arbitro fra le nazioni e dall’obbiettivo ierocratico legato alla proposta di ripristino del Regno Sociale di Cristo — ne condizionò inevitabilmente gli esiti concreti (11).

Con la fine della Grande Guerra, la Santa Sede rimase al di fuori delle trattative di pace di Versailles, nonostante Benedetto XV avesse manifestato una certa apertura e vicinanza alle tesi di Thomas Woodrow Wilson (1856-1924). Il presidente americano ipotizzava la nascita di un organismo sovranazionale che potesse in futuro prevenire i conflitti. Con il papato di Pio XI (1857; 1922-1939), Menozzi individua una evoluzione dell’atteggiamento del cattolicesimo nei confronti della Società delle Nazioni: da una iniziale diffidenza, giustificata da accenti massonici e laicisti dell’organizzazione, a un tendenziale avvicinamento, culminato una sempre maggiore collaborazione della Santa Sede con l’Union Catholique d’études Internationales (UCEI), un’istituzione creata nel 1920 in Svizzera con il consenso di Benedetto XV, concepita come canale di rappresentanza nella Società delle Nazioni degli interessi cattolici.

Menozzi, sulla base di puntuali testimonianze di importanti interpreti della cultura cattolica, sottolinea il tentativo di elaborare, nel primo dopoguerra, una delegittimazione della guerra su base religiosa. Un importante contributo arrivò dai settori dell’intransigentismo che, in nome di una opposizione allo Stato moderno figlio della Rivoluzione francese, sosteneva l’obiezione di coscienza, giustificando la renitenza alla leva, rifacendosi ai trattati filosofici di Luigi Taparelli D’Azeglio, S.J. (1793-1862). Altri settori più progressisti del cattolicesimo e del protestantesimo sostenevano un pacifismo incondizionato, dichiarando l’assolutizzazione del quinto comandamento. Anche don Luigi Sturzo (1871-1959) dall’esilio londinese elaborò una teoria volta a svuotare la guerra dal suo carattere di istituto naturale. Nel 1931 viene pubblicato a Friburgo, in Svizzera, un documento sottoscritto da otto teologi che "[…] voleva intervenire sulla tradizionale dottrina cattolica della guerra, rapportandola alle condizioni storiche del momento, caratterizzate dall’esistenza della Società delle Nazioni e da uno sviluppo senza precedenti del potenziale distruttivo degli eserciti, al fine di circoscrivere i casi in cui la si poteva effettivamente accettare per legittimare un futuro conflitto" (12).

La via per un "pacifismo cattolico" era tracciata, tuttavia nel corso degli anni 1930 si ebbe un ripiegamento della cultura cattolica verso una giustificazione etico-religiosa della guerra, determinata dalla diffusione dei totalitarismi. Con il fallimento della Società delle Nazioni, l’avvento del bellicismo nazionalsocialista neopagano e la ripresa dell’internazionalismo comunista, questo nuovo clima politico, ostile ai principi cristiani e all’instaurazione del Regno Sociale di Cristo, portò la gerarchia ad avere meno remore nel riproporre la guerra come strumento legittimo e a riconsiderare la renitenza alla leva come peccato. In occasione della guerra italiana in Etiopia (1935-1936), il mondo cattolico italiano, complice il clima politico fascista, elaborò una giustificazione religiosa del conflitto coloniale, sconfessando l’autorità della Società delle Nazioni. Anche in occasione della Guerra Civile spagnola (1936-1939) vi fu una netta presa di posizione vaticana a sostegno della crociata anti-repubblicana.

Alle soglie della Seconda Guerra Mondiale, Pio XII (1876; 1939-1958), con un discorso all’Azione Cattolica Italiana, esortava all’obbedienza alle autorità civili, riproponendo il "principio di presunzione". In questo modo papa Pacelli, seguendo una prudente linea diplomatica, non condannò il conflitto di per sé, ma si prodigò per garantire una sua moralizzazione. Nonostante ciò, le limitazioni all’applicazione della guerra giusta restarono uno sterile esercizio teorico che incise poco nei fatti. Eppure era evidente agli occhi dei contemporanei che il nuovo conflitto mondiale poneva inediti interrogativi sul piano etico, sollevati dall’impiego di armi chimiche, di bombardamenti a tappeto e, soprattutto, dall’utilizzo della bomba atomica.

Pio XII tuttavia ripropose, in continuità con il magistero di Pio XI, le tesi intransigenti circa l’origine del conflitto, generato dall’apostasia della società moderna dalla Chiesa di Cristo. Come durante la Grande Guerra "[…] la linea pontificia riproponeva quel nesso tra pacificazione e restaurazione della cristianità che i cattolici delle due parti in lotta potevano piegare secondo i propri orientamenti e interessi" (13).

L’obiezione di coscienza verrà riproposta solamente dopo il bombardamento atomico avvenuto nell’agosto 1945 su Hiroshima e Nagasaki in Giappone. Alcuni autori legati alla precedente corrente "pacifista" come il domenicano tedesco Franziskus Maria Stratmann (1883-1971) (14), oltre a dichiarare l’obiezione di coscienza come un dovere del cattolico, arrivarono a negare la liceità della guerra anche in caso di difesa. Altri, come il futuro cardinale e assessore della Congregazione del Sant’Uffizio, Alfredo Ottaviani (1890-1979), pur affermando la mancanza di proporzionalità fra la guerra moderna — caratterizzata da mezzi tecnologici devastanti — e il fine morale che dovrebbe perseguire, continuava a definire lecita la guerra difensiva, seppure con molte limitazioni (15). In questo modo non veniva scardinato il principio di legittima difesa, appartenente a "[…] quella sfera del diritto naturale di cui la chiesa si era proclamata autentica ed esclusiva depositaria [...] toccare questo ambito implicava incrinare l’intera impalcatura concettuale che governava l’atteggiamento ecclesiastico verso la società" (16). Questa linea, espressa da Ottaviani nel suo manuale di diritto pubblico ecclesiastico (17), veniva confermata dal radiomessaggio natalizio del 1944 di Pio XII, occasione in cui il pontefice dichiarò apertamente che "la teoria della guerra, come mezzo adatto e proporzionato per risolvere i conflitti internazionali, è ormai sorpassata" (18).

Il richiamo a un diritto naturale, inteso come elemento costitutivo della realtà umana che andasse al di là di posizioni confessionali, lo troviamo nell’enciclica Ad Petri cathedram del 1959 di papa Giovanni XXIII (19). Menozzi evidenzia come in questo intervento papa Roncalli abbia posto la ragione come denominatore comune fra gli uomini, il cui esercizio garantiva l’allontanamento dal fattore irrazionale della guerra. Inoltre, nella tradizionale rivendicazione di un ruolo pacificatore, il papa non poneva più in modo manifesto il perseguimento di un ordine cristiano, bensì solamente una promozione del dialogo tra le parti (20) . La pace era per Roncalli "[…] affidata agli uomini di buona volontà, che operavano in "buona fede e con retta coscienza"" (21), non solamente ai membri dell’episcopato della chiesa universale, al clero e ai fedeli. La vicenda della crisi missilistica sovietico-americana di Cuba del 1962, e quindi della capacità del pontefice di porsi come mediatore, confermò "[…] che la sua linea aveva conferito alla chiesa una capacità di ottenere ascolto e attenzione in ambiti che da decenni erano stati a essa preclusi" (22). Ma è nell’enciclica Pacem in terris del 1963 (23) che si raggiunse il culmine del processo di delegittimazione religiosa dei conflitti e del "[...] ripensamento dell’atteggiamento cattolico sulla guerra" (24). Nel documento pontificio infatti venivano formalizzate le principali acquisizioni culturali della riflessione cattolica sulla guerra: l’abbandono a un atteggiamento volto a dettare i criteri moralizzatori di un conflitto — in aperta antitesi, secondo Menozzi, con l’atteggiamento pacelliano —, la costruzione della pace attraverso il dialogo, un appello alla ragione come effettivo punto di incontro fra gli uomini e, infine, la condanna della guerra atomica come strumento per il ripristino della giustizia.

Il Concilio Vaticano II con la formulazione della costituzione pastorale Gaudium et spes del 1965 (25), nell’interpretazione di Menozzi, contribuì a indebolire il potenziale "pacifista" della Pacem in terris, complice l’atteggiamento di papa Paolo VI (1897; 1963-1978) che, nell’intervento alle Nazioni Unite del 1965, considerava possibile la guerra difensiva. Comunque il documento conciliare dava spazio, seppure in modo prudente, a nuove vie per raggiungere la pace: la non violenza e il riconoscimento legale dell’obiezione di coscienza (26). Anche il magistero di san Giovanni Paolo II è connotato da forti oscillazioni fra rifiuto totale della guerra come "[...] violazione del basilare precetto cristiano dell’amore" (27) e ripresa del tradizionale schema intransigente dell’apostasia della società moderna dalla Chiesa (28).

L’opera di Menozzi risulta particolarmente utile per diversi motivi. Innanzitutto rappresenta un’esaustiva sintesi dei rapporti fra Chiesa cattolica e guerra nel corso del Novecento, attraverso la tematizzazione del processo di delegittimazione religiosa dei conflitti. Quest’ultimo è presentato attraverso un utilizzo sistematico di fonti e un criterio metodologico volto a evidenziare la complessità e molteplicità di accenti acquisiti di volta in volta dal magistero e dalla cultura cattolica.

Nel periodo preso in esame la crescita delle ideologie come nazionalismo, colonialismo, nazionalsocialismo e bolscevismo hanno contribuito fornire giustificazioni ideologiche ai conflitti: la Chiesa cattolica ha di volta in volta modulato le proprie posizioni, abbandonando a mano a mano il modello teorico elaborato nei secoli precedenti, la teologia della guerra giusta, che è diventato gradualmente desueto di fronte alla crescita dell’invasività dello Stato moderno nella società e all’incontrollato progresso tecnologico. L’autore si sofferma più volte sul richiamo, all’interno del magistero papale, a una tanto mitizzata, quasi astorica e artefatta cristianità medievale. Tuttavia è proprio all’interno di quel contesto che il paradigma della guerra giusta trovava applicazione e fondamento. Fondamentalmente, la Chiesa medievale poteva contare su un potere secolare cristiano, legittimato da una nozione di sovranità derivata da Dio. A partire dalla Rivoluzione Francese questo legame di trascendenza si è spezzato, facendo provenire l’organizzazione della società dalla società stessa e non da un principio superiore. In questo modo con l’avanzare dello Stato moderno, il principio di presunzione ha sempre più perso di validità, come ben evidenziava già a fine Ottocento Taparelli D’Azeglio. Una importante corrente di opposizione alla guerra moderna, sul piano teorico, è quindi scaturita dai settori cosiddetti intransigenti del cattolicesimo, come conseguenza di una opposizione allo Stato liberale. Eppure, secondo Menozzi, la visione provvidenzialistica dei conflitti propria della cultura intransigente, avrebbe favorito il bellicismo perché tale logica poteva essere piegata alle esigenze di ciascuna nazione. Tuttavia esiste una contraddizione interna a questo ragionamento: l’intransigentismo non presupponeva la possibilità di assumere un atteggiamento nazionalistico perché, almeno sul piano teorico, privilegiava la missione universale della Chiesa e osteggiava l’invasività dello Stato moderno: non necessariamente i tentativi di restaurazione dell’autorità papale sulla vita civile internazionale hanno determinato una giustificazione alle violenze belliche. Anzi, sono state le ideologie politiche, come il nazionalismo durante la Prima Guerra Mondiale o il fascismo durante la Seconda Guerra Mondiale, che hanno saputo strumentalizzare e fare proprie molte istanze del cristianesimo, potendo anche contare sulla partecipazione di larga parte dei cattolici.

In questo modo si spiega il motivo per cui questo cambiamento di paradigma non ha portato la Chiesa ad auspicare un pacifismo esasperato o un "pacifismo evangelico" (29) che arrivasse a negare l’autodifesa in qualunque situazione, come alcuni settori dell’ala progressista vorrebbero: i fondamenti del diritto naturale, fra cui il diritto alla legittima difesa, hanno retto a questa evoluzione. Questo è un dato importate, una permanenza strutturale forse sottovalutata nell’analisi di Menozzi.

Infine, risulta particolarmente fertile il punto di vista transnazionale adottato da Menozzi, capace di mettere a confronto il magistero papale con le varie realtà nazionali, senza tuttavia entrare troppo nei particolari di ciascun ambito. Appare però poco equanime la scelta di inserire all’interno della trattazione anche un capitolo dedicato all’atteggiamento della Chiesa nei confronti della guerra d’indipendenza algerina e, nel contempo, dedicare pochissimo spazio alla Guerra Civile spagnola ed escludere totalmente qualsiasi accenno all’esperienza dell’insurrezione cattolica dei "cristeros" in Messico (1925-1929). Quest’ultima, in particolare, costituisce una lacuna nel panorama storiografico italiano (30). Sarebbe interessante cercare di comprendere quale sia stato il paradigma dominante all’interno di conflitti che hanno visto l’attuarsi e il protrarsi di spietate persecuzioni anticattoliche. A un primo sguardo, il conflitto dei contadini cattolici messicani contro le forze militari del governo laicista-massonico di Plutarco Elías Calles (1877-1945) ha determinato una ripresa del paradigma della guerra giusta: di fronte alla violazione di diritti naturali come la libertà di culto, di stampa e di associazione, i cattolici messicani hanno giudicato indispensabile mettere da parte i metodi di resistenza pacifica e rispondere alle persecuzioni con la forza. Il diritto alla legittima difesa si riconferma come permanenza strutturale, in una occasione in cui il richiamo il culto del Sacro Cuore e al Regno Sociale di Cristo ha costituito un elemento fondamentale intorno al quale la popolazione messicana, conscia delle proprie radici culturali e religiose, si è coesa.

Nicola Lugaresi

Note:

(1) Cfr. Roberto Morozzo della Rocca, La fede e la guerra. Cappellani militari e preti-soldati, Studium, Roma 1980; Luigi Bruti Liberati, Il clero italiano nella grande guerra, Editori Riuniti, Roma 1982; e Francesco Marchisio (a cura di), Cappellani militari 1870-1970, Tipografia San Pio X, Roma 1970. Segnalo anche la pubblicazione degli atti di un convegno del 1962 sul tema "Chiesa e guerra": cfr. Giuseppe Rossini (a cura di), Benedetto XV, i cattolici e la Prima guerra mondiale, Edizioni Cinque Lune, Roma 1963.
(2) Cfr. il titolo di John Francis Pollard, Il papa sconosciuto: Benedetto XV (1914-1922) e la ricerca della pace, trad. it., San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2001. Su papa Della Chiesa segnalo anche Gabriele De Rosa (1917-2009), Benedetto XV, in Enciclopedia dei Papi, Treccani, Roma 2003, vol. III; e Antonio Scottà, Papa Benedetto XV. La chiesa, la grande guerra e la pace (1914-1922), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2009.
(3) Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes sulla chiesa nel mondo contemporaneo, del 7 dicembre 1965, n. 4; cfr. altresì "Per Giovanni XXIII il termine evangelico, a lui particolarmente caro, "segni dei tempi" sta a significare le situazioni concrete, l’attenzione a cogliere quello che, magari impercettibilmente, cambia. è la capacità di percepire l’arrivo di una primavera anche solo dal primo mutare dei colori della natura" (Umberto Mazzone, Cristianesimo. Istituzioni e società dalla Rivoluzione francese alla globalizzazione, Archetipolibri, Bologna 2011, p. 82).
(4) Cfr. Eric John Ernest Hobsbawm, Il secolo breve. 1914/1991, trad. it., Rizzoli, Milano 2006. Per "età della catastrofe", espressione con cui è intitolata la parte prima del volume, lo storico britannico intende il periodo fra il 1914 e il 1945, comprendente i due conflitti mondiali e la crisi del 1929.
(5) Sul rapporto fra Chiesa e guerra è da segnalare anche la raccolta di saggi Mimmo Franzinelli e Riccardo Bottoni (a cura di), Chiesa e guerra. Dalla "benedizione delle armi" alla "Pacem in terris", il Mulino, Bologna 2005, in cui è contenuto il saggio di Daniele Menozzi, Ideologia di cristianità e pratica della "guerra giusta" (ibid., pp. 91-110).
(6) Idem, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti, il Mulino, Bologna 2008, p.8.
(7) Benedetto XV, Esortazione apostolica Dès le Début per il ristabilimento della pace, in Acta Apostolicae Sedis, 9, 1917, pp. 421-423.
(8) Idem, Lettera enciclica Ad beatissimi apostolorum principis, del 1° novembre 1914, in Erminio Lora e Rita Simionati (a cura di), Enchiridion delle encicliche. 4. Pio X. Benedetto XV. 1903-1922, testo bilingue latino e italiano, 2a ed., EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1999, pp. 468-473 (cit. in D. Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti, cit., p. 18).
(9) Idem, Lettera Dès le début ai capi dei popoli belligeranti, ibid., pp. 970-977 (p. 977).
(10) D. Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti, cit., p. 34. Il tema del culto del Sacro Cuore è affrontato da Menozzi nell’opera monografica Sacro Cuore. Un culto tra devozione e restaurazione cristiana della società, Viella, Roma 2001, in cui sostiene che questo strumento devozionale aveva l’obbiettivo "ierocratico" di instaurare il Regno Sociale di Cristo, contrapposto alle tendenze nazionalistiche dell’epoca.
(11) Cfr. Idem, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti, cit., p. 46.
(12) Ibid., p. 113.
(13) Ibid., p. 155.
(14) Il personaggio fu attivo nella redazione di articoli nella rivista domenicana Les Documents de la vie intellectuelle, nata per combattere le idee conservatrici di Charles Maurras (1868-1952) nel mondo cattolico francese, ed è menzionato fra i firmatari del documento di Friburgo del 1931, che ho menzionato. Le sue opere in lingua tedesca sono indicate in ibid., p. 85n.
(15) Queste posizioni sono espresse nella terza edizione del volume Alfredo Ottaviani, Istitutiones iuris publici ecclesiastici, 2 voll., Typis Poliglottis Vaticanis, Roma 1947, vol. I, I. Ius publicum internum, pp. 151-155. Ottaviani venne nominato cardinale nel 1953 e fu stretto collaboratore di papa Pio XII. Qualche notizia sulla vicenda biografica del prelato in Emilio Cavaterra, Il prefetto del Sant’Uffizio. Le opere e i giorni del cardinale Ottaviani, Mursia, Milano 1990; cit. in D. Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti, cit., pp. 171-172.
(16) Ibid., p. 172.
(17) Cfr. A. Ottaviani, op. cit., vol I, pp. 151-155.
(18) Pio XII, I sommi postulati morali di un retto e sano ordinamento democratico. Radiomessaggio natalizio Benignitas et humanitas diretto ai popoli del mondo intero il 24 dicembre l944 vigilia della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, nuova trad. it., Edizioni di Cristianità, Piacenza 1991, p. 21.
(19) Giovanni XXIII, Lettera enciclica Ad Petri cathedram sulla conoscenza della verità, restaurazione dell’unità e della pace nella carità, del 29 giugno 1959, in E. Lora (a cura di), Enchiridion della pace. Pio X-Giovanni XXIII, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2004, pp. 1.482-1.487 (cit. in D. Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti, cit., p. 258).
(20) Cfr. D. Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti, cit., p. 260.
(21) Ibid., p. 264.
(22) Ibid., p. 263.
(23) Giovanni XXIII, Lettera enciclica Pacem in terris sulla pace fra tutte le genti nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà, in E. Lora e R. Simionati (a cura di), Enchiridion delle encicliche. 7. Giovanni XXIII-Paolo VI, testo bilingue latino e italiano, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna 1994, pp. 380-469.
(24) Ibid., p. 265.
(25) Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes sulla chiesa nel mondo contemporaneo, cit..
(26) Cit. in D. Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti, cit., p. 276.
(27) Ibid. p. 297.
(28) Sul papato di san Giovanni Paolo II cfr. Idem, Giovanni Paolo II. Una transizione incompiuta? Per una storicizzazione del pontificato, Morcelliana, Brescia 2006.
(29) Secondo alcuni autori come Sergio Cotta — in G. Rossini (a cura di), op. cit., pp. 273-278 — e, più recentemente, Nando Simonetti — Principi di teologia della pace nel magistero di Benedetto XV, Edizioni della Porziuncola, Assisi (Perugia) 2005 — Benedetto XV è stato l’antesignano di un "pacifismo evangelico" (cfr. D. Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti, cit., p. 33.
(30) Sul tema segnalo, fra le poche opere in italiano, Mario Arturo Iannacone, Cristiada. L’epopea dei Cristeros in Messico, Lindau, Torino 2013; e Paolo Gulisano, Viva Cristo Re! Cristeros: il martirio del Messico 1926-29, il Cerchio iniziative editoriali, Rimini 1999.


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Alessandro Massobrio
Un profilo del card. Giuseppe Siri a cento anni dalla nascita

Massimo Introvigne
Una interpretazione delle società segrete cinesi fra paradigma esoterico, politica e criminologia

Marco Invernizzi
Appunti per una storia dell’idea di famiglia in Italia dalla seconda guerra mondiale alla «guerra dei Pacs»

Alessandro Massobrio
Genova nel Settecento

Oscar Sanguinetti
Benedetto XV:
un grande Papa
per un breve
pontificato


Giuseppe Brienza
Monsignor Roberto Ronca e Civiltà Italica di fronte al 18 aprile 1948

Paolo Deotto
Un martirologio del Novecento:
i sacerdoti uccisi da partigiani comunisti in Italia dopo il 1945


Paolo Deotto
Isola di Cefalonia 1943: andò davvero come la racconta una certa vulgata?

Paolo Deotto
Alfredo Pizzoni, leader ignorato della Resistenza

Paolo Deotto
Strage di Porzus: un'ombra cupa sulla Resistenza

Oscar Sanguinetti
Il dopo-guerra: l’Italia del 1948, fra la Costituente e la morte di Alcide De Gasperi

Oscar Sanguinetti
La tragedia dell'olocausto ebraico
e le sue responsabilità morali


Marco Invernizzi
Alle radici dell'identità italiana: i Comitati Civici


IL LIBRO DEL MOMENTO

Gonzague de Reynold,
La casa Europa. Costruzione, unità, dramma e necessità.

Introduzione di
Giovanni Cantoni

D’Ettoris Editori, Crotone 2015,
282 pp., € 22,90.



Oscar Sanguinetti,
Metodo e storia. Princìpi, criteri e suggerimenti di metodologia per la ricerca storica

Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma 2016
320 pp., € 22,00.



Oscar Sanguinetti,
Pio X. Un pontefice santo alle soglie del «secolo breve»,

con una prefazione di Roberto Spataro S.D.B.,
Sugarco Edizioni, Milano 2014,
336 pp., € 24,80



Oscar Sanguinetti,
Alle origini del conservatorismo americano. Orestes Augustus Brownson: la vita, le idee,

con una prefazione di Antonio Donno,
in appendice: Orestes Augustus Brownson, De Maistre sulle costituzioni politiche Biblioteca del pensiero conservatore,
D'Ettoris Editori, Crotone 2013,
282 pp., € 17,90



Marco Tangheroni,
Della storia.
In margine ad aforismi di Nicolás Gómez Dávila

Sugarco Edizioni, Milano 2008,
144 pp., € 15,00


Giovanni Cantoni,
Per una civiltà cristiana nel terzo millennio. La coscienza della Magna Europa e il quinto viaggio di Colombo

Sugarco Edizioni, Milano 2008,
264 pp., € 18,50


Oscar Sanguinetti,
Cattolici e Risorgimento. Appunti per una biografia di don Giacomo Margotti
con una prefazione di Marco Invernizzi

D'Ettoris Editori, Crotone 2012,
160 pp., € 15,90


Christopher Dawson,
La crisi dell'istruzione occidentale
trad. e cura di Paolo Mazzeranghi

D'Ettoris Editori, Crotone 2012,
218 pp., € 19,90


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GIANCARLO CERRELLI e MARCO INVERNIZZI
La famiglia in Italia dal divorzio al gender,

prefazione di Massimo Gandolfini,
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THOMAS E. WOODS JR.
Guida politicamente scorretta alla storia degli Stati Uniti d'America,

a cura di Maurizio Brunetti, con un invito alla lettura di Marco Respinti,
D'Ettoris Editori, Crotone 2009,
350 pp., € 24,90.







OSCAR SANGUINETTI
E IVO MUSAJO SOMMA,
Un cuore per la nuova Europa. Appunti per una biografia di Carlo d'Asburgo,

invito alla lettura di don Luigi Negri,
prefazione di Marco Invernizzi,
a cura dell'Istituto Storico dell'Insorgenza e per l'Identità Nazionale,
3a ristampa,
D'Ettoris,
Crotone 2010,
224 pp., con ill., € 18,00.





ROBERTO MARCHESINI,
Il paese più straziato. Disturbi psichici dei soldati italiani della Prima Guerra Mondiale,

prefazione di Oscar Sanguinetti,
presentazione di Ermanno Pavesi,
D'Ettoris,
Crotone 2011,
152 pp., € 15,90.





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