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a realtà cui si attribuisce il nome di «Sessantotto» in realtà si compone storicamente di un insieme di fenomeni che si dispiegano in un arco di tempo di circa quindici anni, cioè all’incirca fra il 1965 e il 1980. Dopo due anni di preparazione — prossima: quella remota risale a ben prima — nella cultura e nel costume, due anni di brusca salita della temperatura politica — i moti studenteschi e operai del 1968-1969 — e circa un decennio caratterizzato da ondate di febbre sempre più alta, dalle violenze dei gruppuscoli extra-parlamentari alla guerra per bande nei quartieri delle metropoli, dalla «strage di Stato» al terrorismo «militare», dall’uccisione dello studente socialista Paolo Rossi nel 1966 all’omicidio di Aldo Moro nel 1978.
Che si trattasse dell’università oppure del liceo oppure, ancora, della fabbrica o dell’ufficio, la ventata rivoluzionaria toccò allora un po’ tutti e un po’ tutti, volenti o nolenti, ne furono cambiati.
Anche chi fece finta di niente ne uscì mutato, in positivo o in negativo, quanto meno nel modo di pensare e di vivere le proprie relazioni sociali, dal momento che la rivoluzione culturale sessantottesca ha cambiato la cultura popolare e il senso comune.
Anche chi si è opposto, nelle forme più svariate, all’ondata rivoluzionaria che tutto travolgeva è finito per assimilarne quanto meno il linguaggio e spesso anche l’habitus esteriore.
Chi allora capì di trovarsi ad «avere vent’anni» all’interno di una stagione «magica», ricca di aspettative anche se gravida di per molti versi quotidiana ingiustizia spicciola, non poté non schierarsi. Sia che credesse di poter cambiare il mondo, sia che subisse con ripugnanza la pressione dell’ideologia egualitaria brutale e scatenata, che distruggeva le basi della convivenza civile, chi allora aveva un minimo di sensibilità e di generosità non poté far a ameno di impegnarsi. Che ciò avvenisse nelle formazioni guerrigliere oppure nei gruppi anti-comunisti è abbastanza secondario, anche se andare controcorrente costò parecchio a molti.
In questa ricorrenza quarantennale si celebrano — anche se, nel clima di post-modernità «debole», dove tutto sfuma e tutto diviene relativo, tutto sommato alquanto in sordina — senz’altro le gesta dei primi piuttosto che dei secondi.
Io vorrei invece ricordare una persona, un amico, che percorse proprio l’«altro» dei due possibili cammini, quello della opposizione anti-comunista e dello studio accurato dei fenomeni del periodo in cui la sua formazione umana e culturale si era svolta: Enzo Peserico.
Enzo aveva otto anni quando gli studenti milanesi cominciavano ad agitarsi in maniera massiccia e ne avrà venti quando si può considerare concluso il Sessantotto «storico», cioè quando la contestazione viene «disattivata», inizia il disimpegno e al «tutto è politico» e alla spranga si inizia a preferire la chitarra o la droga o la «febbre del sabato sera», se non il suicidio.
Enzo era nato e abitava a Sesto San Giovanni, vicino a Milano, chiamata ancora in quegli anni «la Stalingrado d’Italia» per l’altissima concentrazione operaia e per la fortissima presenza comunista. Conoscerà la lotta politica negli anni delle superiori ed è lì che deciderà d’impegnarsi in quella «battaglia delle idee», che una rivoluzione di tipo culturale — anche se non esclusivamente tale — come il Sessantotto rendeva indispensabile e prioritaria. Cattolico, sceglierà da giovanissimo la militanza in un’associazione la cui ragione sociale era ed è la diffusione della dottrina sociale della Chiesa e il cui modello e fine una nuova cristianità: Alleanza Cattolica.
Parlare di Dio, di gerarchie sociali, di proprietà privata, di contro-rivoluzione, di anti-comunismo negli anni 1970 non era facile ed era spesso non poco rischioso, anche perché l’apostolato culturale e la professione di «fede» civica di Alleanza erano franchi e aperti e comportavano una prassi attivistica oggi impensabilmente intensa: dalla diffusione dell’organo associativo, Cristianità, davanti alle chiese alla domenica, alle conferenze e alle catechesi, all’affissione di manifesti, alle manifestazioni di piazza. L’associazione, nella sua articolazione ambrosiana, divenne a poco a poco la sua famiglia spirituale, culturale e amicale e in essa, con il procedere dell’età, fece esperienze spirituali sempre più intense e assunse responsabilità sempre maggiori, divenendo ben presto guida di un gruppo — o «croce» — di allora giovani militanti milanesi. Non si limitò peraltro a seguire la prassi associativa in senso stretto, cioè dedicandosi alla formazione e all’attività di apostolato organizzato: spinto da una sempre più nitida percezione del «segreto» del cristianesimo — l’amore a Dio attraverso la dedizione al prossimo — e della improrogabile ripresa della missionari età, ampliò la gamma delle sue iniziative, occupandosi di formazione di bambini e di giovanissimi, organizzando ritiri per famiglie e occasioni spirituali e conviviali collettive per i periodi di vacanza. Divenuto professionista affermato, non esitò a mettere a disposizione delle necessità dell’associazione quote rilevanti dei propri guadagni, così come si fece promotore di fondi di solidarietà per fronteggiare le difficoltà dei militanti e degli amici.
Apostolo a tempo pieno, brillante titolare di un affermato studio giuslavoristico, padre di un’ampia famiglia, non abbandonò mai i suoi interessi culturali, che riuscì a coltivare per intervalla, mantenendo sempre un’attenzione straordinaria per il fenomeno che aveva marcato in maniera indelebile la sua gioventù: il Sessantotto. A una vasta ricerca su questo tema dedicò la tesi di laurea in Giurisprudenza, intitolata «Gli anni del desiderio e del piombo». Da questo materiale, che mantenne costantemente aggiornato, trasse nel 1985 un corposo saggio pubblicato sui Quaderni di «Cristianità», così come una monografia illustrativa che entrò a far parte del Dizionario del Pensiero Forte promosso dall’Idis di Roma e coordinato da Giovanni Cantoni.
La sua lettura del Sessantotto riflette la tesi di fondo della scuola di pensiero cattolica contro-rivoluzionaria, secondo la quale la Rivoluzione è un un’esplosione di tendenze morali prive di ordinamento, che si traduce a lungo andare in idee di palingenesi gnostica e in prassi rivoluzionaria. Fenomeno unitario e dominante in Occidente, è un processo che si sviluppa per fasi logiche e cronologiche. Inizia con la «rivoluzione copernicana» della modernità antropocentrica, consegue un primo successo esterno con la Rivoluzione protestante, scende sul piano politico con il 1789 francese e invade il dominio economico con la rivoluzione marxista-leninista. Infine, penetra all’interno del singolo, sovvertendone i gusti, le abitudini, il modo di vivere e di pensare, eccitando un individualismo assoluto che si ripercuote sul piano pubblico con le rivendicazioni dei «diritti» di divorzio, di aborto, di eutanasia, di matrimonio omosessuale, di libertà di droga. Il Sessantotto ha segnato l’esordio di questa quarta fase del processo rivoluzionario, nella quale siamo tuttora immersi e di cui non possiamo intravedere ancora gli esiti ultimi.
Nell’imminenza del quarantennale Enzo aveva ripreso tutti questi contributi intellettuali, affinandoli e arricchendoli con le ultime pubblicazioni in tema e ne aveva tratto un volume, che ha dovuto purtroppo abbandonare incompleto perché la morte lo ha ghermito all’improvviso nel giorno di Capodanno del 2008, a 48 anni, mentre rientrava da uno dei ritiri associativi di fine-anno che aveva contribuito a istituire da alcuni anni. Il volume è, ora pubblicato presso SugarCo a cura di Marco Invernizzi, è stato presentato sabato 17 maggio 2008 a Milano, nel corso di un convegno di studio dal titolo Gli anni del desiderio e del piombo. Sessantotto, terrorismo & Rivoluzione, organizzato da Alleanza Cattolica.
Proprio per ricordare Enzo Peserico e per onorarne la memoria, ma soprattutto per proseguirne l’azione, in occasione del convegno è stata annunciata la costituzione della Fondazione «Enzo Peserico. Fede, cultura, famiglia e società».