Papa Benedetto XVI, il 17 e il 18 maggio 2008, ha compiuto una visita pastorale a Savona e, poi, a Genova rispettivamente nella memoria di due suoi grandi predecessori: Pio VII (1742; 1800-1823) e Benedetto XV (1914-1922).
A Savona ha visitato il santuario di Nostra Signora di Misericordia e il palazzo vescovile, dove all’inizio del secolo XIX fu ospitato Papa Pio VII. Era dal 1815 che un pontefice romano non veniva a visitare la diocesi del Ponente ligure: l’ultimo era stato proprio Papa Pio VII che vi si era recato il 10 maggio 1815 ed era stato accolto dal Re di Sardegna Vittorio Emanuele I (1759-1824) e dal vescovo Filippo Ghighi (1752-1830) presso il santuario mariano visitato da Papa Ratzinger. Una visita di Papa Giovanni Paolo II (1920; 1978-2005) avrebbe dovuto aver luogo nel 1985, ma saltò all’ultimo minuto per ragioni logistiche.
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Nel discorso di benvenuto che il vescovo di Savona-Noli monsignor Vittorio Lupi ha tenuto il 17 maggio all’inizio della Messa presieduta dal Santo Padre in piazza del Popolo a Savona ha detto fra l’altro: «[…] questa terra gode di […] due peculiarità che ci legano con un rapporto del tutto speciale al Sommo Pontefice: il privilegio di aver donato due dei suoi figli più validi come guide della Chiesa universale, i Pontefici Sisto IV e Giulio II, le cui opere ancor oggi abbelliscono la Città eterna; [e] il privilegio di aver sostenuto con amore il Papa Pio VII durante la sua prigionia. […] Furono momenti difficili per la vita della Chiesa, ma che ci fanno toccare con mano la verità di quanto il Salvatore ha promesso alla Sua Chiesa guidata da Pietro: non praevalebunt, le forze del maligno non prevarranno. In un momento in cui i poteri di questo mondo apparivano eterni e indistruttibili, un piccolo uomo, un umile monaco, figlio di S. Benedetto, chiamato a reggere le sorti della Chiesa, rivelava al mondo la realtà dell’assistenza indefettibile dello Spirito Santo al Sommo Pontefice, riuscendo a svolgere il Suo alto compito con paziente coraggio e serena determinazione in condizioni umanamente impossibili. Molte le vessazioni e le privazioni subite; i savonesi ebbero modo in quella circostanza di far sentire al Papa tutto il loro affetto di figli devoti e dargli sostegno e collaborazione. Grazie soprattutto all’impegno di un figlio della Liguria di ponente Pio Brunone Lanteri, che organizzò in gran segreto una rete di collaboratori, i savonesi riuscirono a far pervenire al Papa la corrispondenza da parte dei Vescovi e ai Vescovi bolle, rescritti e lettere da parte del Papa. In quelle tre stanzette poste nell’episcopio […], Pio VII riuscì, grazie alla collaborazione di tante persone del popolo, ad evadere circa tremila pratiche riguardanti la Chiesa Universale. È con la stessa devozione che Savona oggi vuol far sentire al successore di Pietro la stima, il calore e l’affetto che i nostri padri tributarono a Pio VII» (mons. Vittorio Lupi, vescovo di Savona-Noli, Discorso di benvenuto all’inizio della Messa presieduta dal Santo Padre in piazza del Popolo a Savona; il testo integrale è apparso nel sito web ufficiale della diocesi ligure (www.diocesisavonanoli.it) il 18-5-2008; consultato il 19-5-2008).
Dunque il soggiorno di Papa Pio VII, il monaco benedettino cesenate Barnaba Niccolò Maria Luigi (in religione Gregorio) Chiaramonti, a Savona dopo il 1809 non era stato precisamente determinato dalla bellezza dei luoghi o da ragioni pastorali. Savona era stata per il pontefice un luogo di confino, di restrizioni continue, in cui era stato praticamente impossibilitato a svolgere la sua missione di pastore universale e in cui aveva dovuto subire pressioni e ricatti di ogni genere: in altre parole un luogo di prova, dove non erano mancate amarezze e preoccupazioni.
Le parole di mons. Lupi e la decisione di Benedetto XVI di recarsi a visitare i luoghi dell’esilio piano hanno entrambe il merito di ricondurre all’attualità una vicenda importante — nella sua tragicità — per la Chiesa universale, una vicenda ancora poco conosciuta e quindi purtroppo non così attiva, come dovrebbe, nel dar forma a quella conoscenza del passato che costituisce il fondamento della prudenza, la virtù «politica» per eccellenza.
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L’ex vescovo di Tivoli (Roma) e di Imola (Bologna) ascende al soglio di Pietro nel 1800, al termine di un conclave lungo e burrascoso tenutosi a Venezia, da soli due anni entrata a far parte dell’impero austriaco. Roma era occupata dalla Francia repubblicana e pareva inopportuno celebrare le assise cardinalizie in una zona esposta ai condizionamenti rivoluzionari, mentre l’Austria, al contrario, già da molti anni si era schierata con le armi contro la Rivoluzione. Nel conclave il cardinal Chiaramonti, forse per la sua immeritata fama di prelato accomodante con la Rivoluzione — una sua pastorale della fine 1796 che raccomandava agl’imolesi la sottomissione ai francesi invasori aveva a suo tempo destato scalpore: ma vi era stata nel giugno precedente la grande insorgenza contadina di Lugo di Romagna che aveva provocato numerose vittime e sanguinose rappresaglie —, aveva dovuto superare il tenace ostracismo dell’ultimo sacro romano imperatore, Francesco II di Asburgo (1768-1835).
Nel suo magistero universale e nell’esercizio del suo potere ecclesiale Papa Chiaramonti si trova esposto fin da subito all’«uragano Napoleone», con cui dovrà ingaggiare, lui così mite, un vero e proprio braccio di ferro. La Chiesa in Francia dopo la costituzione civile del clero è in rovina e praticamente in stato di scisma; il giansenismo dilaga; la pratica del matrimonio degli ecclesiastici si diffonde; i fedeli sono in preda all’indifferenza se non, addirittura, ostili alla Chiesa. Con Bonaparte Primo Console Pio VII negozia il Concordato del 1801, che pone fine a una situazione di anarchia, ma che, con i cosiddetti «articoli organici» aggiunti dal governo francese l’8 aprile 1802, assoggetta largamente la Chiesa francese allo Stato. Nel 1804 Napoleone inizia a negoziare con il Papa la propria investitura a imperatore dei francesi, che il Papa dovrà accettare anche se, come è noto, l’incoronazione avrà non pochi aspetti irrituali. Nel 1809 Napoleone lo fa trasferire con la forza da Roma, nuovamente occupata, in Francia e poi a Savona, da anni incorporata nel territorio dello Stato francese: durante il passaggio del Monginevro Papa Chiaramonti si ammalerà a tal punto che sarà necessario somministrargli l’olio degli infermi. Pio VII sarà sottoposto dall’imperatore francese a ogni tipo di pressione perché accetti le nomine dei vescovi da lui disposte; nel 1812 è trattenuto prigioniero nel castello di Fontainebleau, nei pressi di Parigi, affinché approvi — come poi dovrà fare, ritrattando però poco dopo l’accordo — un nuovo Concordato, che limitava ancor di più la libertà della Chiesa nell’Impero ormai al tramonto. Bonaparte vorrà tenere il Pontefice in ostaggio fino all’ultimo: nel 1813, dopo la sconfitta di Lipsia, di fronte alla minaccia d’invasione della Francia da parte degli eserciti coalizzati, Napoleone lo fa riportare a Savona, dove rimarrà tra il febbraio e il marzo.
Durante i suoi anni di soggiorno coatto a Savona alcune informazioni su quanto avveniva in Europa e nella Chiesa poterono raggiungere Pio VII grazie all’azione svolta nella semi-clandestinità da elementi delle Amicizie Cristiane, il primo network missionario di cultura contro-rivoluzionaria in Italia, fondato e animato dal venerabile Pio Bruno Lanteri (1759-1830), cuneese, anch’egli al confino in Piemonte in quanto sospetto di attività «sovversiva». Dalle Amicizie germinerà il vasto fenomeno della santità «piemontese», che sarà illustrata nel secolo successivo — e oltre — da figure quali quella di san Giovanni Bosco (1815-1888) e di san Leonardo Murialdo (1828-1900), nonché, fra le altre, dalla congregazione degli Oblati di Maria Vergine direttamente fondata da Lanteri. Anche di questa importante figura della storia religiosa del Piemonte, autentico precursore dell’azione cattolica italiana, l’attuale vescovo savonese ha ritenuto di far memoria.
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Agli accenni di mons. Lupi Papa Benedetto XVI ha replicato poco dopo, nel corso della sua omelia, ricordando che: «Un pellegrinaggio [il suo] che è anche memoria e omaggio al mio venerato predecessore Pio VII, la cui drammatica vicenda è indissolubilmente legata a questa città e al suo Santuario mariano. A distanza di due secoli, vengo a rinnovare l’espressione della riconoscenza della Santa Sede e di tutta la Chiesa per la fede, l’amore ed il coraggio con cui i vostri concittadini sostennero il Papa nella sua residenza coatta, impostagli da Napoleone Bonaparte, in questa Città. Si conservano numerose testimonianze delle manifestazioni di solidarietà rese al Pontefice dai Savonesi, a volte anche con rischio personale. Sono vicende di cui i Savonesi oggi possono fare memoria con fierezza. Come giustamente ha osservato il vostro Vescovo, quella pagina oscura della storia dell’Europa è diventata, per la forza dello Spirito Santo, ricca di grazie e di insegnamenti, anche per i nostri giorni. Essa ci insegna il coraggio nell’affrontare le sfide del mondo: materialismo, relativismo, laicismo, senza mai cedere a compromessi, disposti a pagare di persona pur di rimanere fedeli al Signore e alla sua Chiesa. L’esempio di serena fermezza dato dal Papa Pio VII ci invita a conservare inalterata nelle prove la fiducia in Dio, consapevoli che Egli, se pur permette per la sua Chiesa momenti difficili, non la abbandona mai. La vicenda vissuta dal grande Pontefice nella vostra terra ci invita a confidare sempre nell’intercessione e nella materna assistenza di Maria Santissima».
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Potrebbe sembrare eccessivo quell’appellativo di «pagina oscura della storia dell’Europa» per un atto la cui responsabilità risale a un personaggio come Napoleone Bonaparte, che dalle nostre parti viene di norma pressoché «beatificato» in quanto considerato l’artefice principale delle libertà civili italiane di ieri e di oggi.
Tuttavia, bisogna porre mente che Pio VII non fu l’unico papa deportato da Napoleone Bonaparte: egli era stato preceduto poco prima da Pio VI (Giovanni Angelico Braschi; 1717; 1775-1799), anch’egli cesenate, il quale era morto a Valence il 29 agosto 1799 durante il suo viaggio verso l’esilio forzato in Francia.
Considerando quindi tutti questi elementi, il giudizio tranchant di Papa Benedetto XVI non pare azzardato.
In aggiunta, va osservato che, se la fonte da cui proviene — del tutto autorevole e in genere assai cauta sotto il profilo storico-valutativo — ritiene di esprimersi in questi termini, ritiene cioè di definire la condotta di Napoleone verso la Chiesa senza mezzi termini «una pagina oscura» nella storia d’Europa, vuol dire che occorre riflettere sull’importanza di quanto accaduto allora, cioè tornare a chiedersi quali fossero i veri intenti di Napoleone, cioè della Rivoluzione francese, verso la Chiesa di Cristo. E cercare subito dopo di operare un confronto con il nostro tempo, senz’altro diverso come temperie psicologica e morale rispetto agli anni di Napoleone, di Pio VII e di Lanteri, ma anche così popolato di forze e di idee disgregatrici, eredi di quelle che allora si nascondevano sotto l’ermellino fasullo del despota vittorioso.
Un’ultima riflessione s’impone davanti a questa netta presa di posizione. Spesso lo storico di fronte alla molteplicità e alla polifonia dei fatti e all’esigenza — del tutto ragionevole, ma talora radicalizzata — di «audire et alteram partem», di giustificare storicamente i vari comportamenti — oppure, magari, solo per quieto vivere — è tentato di smussare il filo del giudizio storico-critico, esimendosi dalla responsabilità d’individuare e di rivendicare un senso all’agire umano del passato. Certo, il Papa in quanto tale non è uno storico di mestiere, ma è un fatto che si trovi alla guida di una «compagnia» che nasce e vive nella storia e che il suo ruolo magisteriale si nutra anche di storia. Il cammino della Chiesa deve essere orientato, infatti, attingendo dal passato tutto ciò che possa rivelarsi utile per decidere, per non commettere errori, nel presente. Se, nel suo ruolo, un pontefice parla di «pagina oscura» in relazione a un fatto e a una persona del passato, lo fa a ragion veduta e con lo scopo di scongiurare altre «pagine oscure», da qualunque parte possano venire. E nella rievocazione della memoria, nell’apprezzamento per l’eroismo del suo predecessore, nell’inquadrare la sua resistenza al tiranno come emblema ed esempio di come occorre oggi opporsi a «materialismo, relativismo, laicismo», nel richiamo alla fiducia nella Provvidenza per superare oggi prove difficili come quelle dell’età di Pio VII, e, infine, nelle parole di stima e di ringraziamento per gli antenati dei savonesi di oggi sembra trasparire questo proposito.
Anche lo storico, a mio avviso, se non vive avulso dal suo tempo, dovrebbe avere quest’audacia, questa volontà di comprendere e di «cum prehendere», all’interno di una valutazione fondata ma sobria e netta, come quella papale, lo spirito di un’epoca o il senso di una pagina di vita passata.