Benché molti tendano a minimizzarlo o persino a negarlo, è chiaro che il problema principale dello Stato italiano unitario è stato, ed in parte ancora è, purtroppo, la Questione Meridionale. E benché alcuni, soprattutto certi «intellettuali meridionali» — in specie progressisti o che presumono di esser tali — tendano a indicare altre cause, l’origine di tale Questione — il vocabolo ha di suo una valenza alquanto eufemistica — risiede negli eventi densi di conseguenze che accompagnarono e seguirono la realizzazione dell’unità politica d’Italia nel 1860-1861, il cui primo inscindibile corollario fu il grave fenomeno dell’emigrazione di massa e
sine die che colpisce in particolare il mezzogiorno dopo il 1870. Parafrasando espressioni impiegate all’interno di altre «questioni» storiche, potremmo dire che questa tesi cozza oggi contro «un passato che non vuole passare» e che, lungi dall’ammettere realtà sempre più evidenti una volta scrostatane l’ideologia che per anni ha impedito una visione e un giudizio sereni, suscita ancor oggi animosità e contrasti, persino odi, davvero degni di miglior causa. Tuttavia la vetusta
vulgata risorgimentalistica, colma di retorica patriottarda e di conseguenti «scomuniche» per chi avesse osato metter in dubbio la versione ufficiale della storia, ormai codificata nei famosi libri di testo — che, per la verità, sembrano talvolta più che altro parafrasi di mattinali di questura o sentenze di corti marziali — non è ancora morta. E questo è tanto più vero per quanto concerne come si racconta la complessa «sottoquestione» del cosiddetto brigantaggio del Mezzogiorno, una vicenda che non si può più leggere in termini manichei di «bianco/nero» o «buoni/cattivi», né dispiegando tutti i più vieti luoghi comuni di un «lombrosismo», di un darwinismo sociale, di un pre-giudizio anti-meridionale, che sa appunto più di polizia criminale che non di storia. In questo contesto è davvero benvenuto il corposo e sicuramente impegnativo lavoro di Giuseppe Rizzo e Antonio La Rocca, due storici non professionisti, ma autori di un saggio di storia che si appoggia su un’accuratissima, quasi «certosina», raccolta di fonti archivistiche e documentarie e che si avvale anche, nei limiti del possibile, di frammenti di testimonianze orali rese dai più anziani dei paesi interessati. Rizzo e La Rocca non fanno mistero della loro opzione ideologica marxista e giudicano alla luce delle categorie gramsciane forse non solo gli avvenimenti di tutto il secolo XIX prima nel Regno di Napoli e delle Due Sicilie e poi nel neonato Regno d’Italia, ma si sforzano di ricostruirne anche la situazione socio-economica e quella culturale. All’interno della loro critica non possono non trovare posto la denunzia e la chiara condanna delle modalità con cui venne fatta l’Unità dai garibaldini e dai piemontesi e la pesante repressione anti-popolare che fa seguito alla sconfitta delle armate napoletane ed al dissolvimento dello Stato borbonico. Così come non può stupire il loro rammarico del fatto che quando le plebi meridionali insorsero, dando vita al fenomeno del brigantaggio, lo fecero molto spesso adottando emblemi, parole d’ordine, obiettivi — almeno dichiarati quantomeno formali — legittimistici e nostalgici, trovando sostegno e incitamento, in sacerdoti, frati e vescovi e nei pochi ambienti sociali rimasti fedeli alla monarchia delle Due Sicilie. Gli autori ripercorrono in ben 81 paragrafi,
Filippo Salatino