Il 3 e 4 ottobre 2003, a Milano, organizzato dall’ISIIN, l’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale, e da
Annali Italiani. Rivista di studi storici, in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore e con l’Università degli Studi di quella città, con il patrocinio della Regione Lombardia, della Provincia, della Società Storica Lombarda e dell’Ufficio Provinciale del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, si è tenuto un convegno dal titolo
Il cattolicesimo lombardo tra Rivoluzione francese, Impero e Unità.
Il convegno si colloca nell’ambito del progetto di ricerca Un cattolico fra due Imperi: il conte Giacomo Mellerio (1777-1847), che l’ISIIN, in collaborazione con l’Università Cattolica e l’Università degli Studi di Milano, ha condotto dal 2002 appunto sulla figura e sui tempi del conte Giacomo Mellerio, personalità illustre dell’aristocrazia e del cattolicesimo lombardi negli anni di Napoleone Bonaparte (1769-1821) e della Restaurazione — scomparirà proprio alla vigilia della Rivoluzione del 1848 —, nonché insigne benefattore della Chiesa e del popolo milanese. Obbiettivi della ricerca sono l’elaborazione di una biografia critica del conte e una messa a fuoco generale sui problemi che si ponevano ai cattolici in quegli anni di cambiamenti rapidi ed eversivi.
A questi criteri si sono ispirate le relazioni presentate al convegno, i cui testi — rielaborati alla luce di quanto emerso nel corso dei lavori e di nuove conoscenze archivistiche e bibliografiche — sono stati raccolti nel volume Il cattolicesimo lombardo tra Rivoluzione francese, Impero e Unità.
L’opera, articolata in tre parti, è aperta da una Prefazione (pp. 11-15) di uno dei due curatori, Robertino Ghiringhelli, direttore dell’Istituto di Storia Moderna e Contemporanea dell’Università Cattolica, che delinea la vita e le opere di Mellerio, «generoso mecenate cattolico [...], ma anche uno dei primi veri organizzatori di cultura cattolica e un uomo di ingegno non comune» (p. 14).
La Parte I, la più ampia, Dal Settecento alla Restaurazione (pp. 17-144), è aperta dalle considerazioni di Marco Meriggi che, illustrando La società lombarda fra crisi dell’antico regime e frattura rivoluzionaria (pp. 19-28), si sofferma sul milieu aristocratico ambrosiano e ne descrive, attingendo a due diverse fonti epistolari, le aspettative dopo la fine del napoleonico Regno Italico e in attesa del Congresso di Vienna, volte soprattutto a ridimensionare la nuova e rivoluzionaria pervasività dello Stato. Ma il Regno Lombardo-Veneto nasce all’insegna del compromesso, come tutta la Restaurazione in Europa: «uno statalismo monarchico, formalmente ammantato del crisma religioso, che finiva per scontentare tutti: nostalgici dell’antico regime, cripto-liberali, epigoni della Rivoluzione» (p. 27).
Ai mutamenti politici si aggiungono quelli sociali, che stimolano nuove forme di presenza cattolica, legate alla grande eredità della tradizione precedente. Sulle radici settecentesche dell’impegno sociale dei cattolici si soffermano Paolo Vismara — L’eredità del Settecento: religione e spiritualità (pp. 29-39) —, Edoardo Bressan — L’eredità del Settecento: la carità (pp. 41-47) — e don Ennio Apeciti — Cultura e spiritualità del clero lombardo fra XVIII e XIX secolo (pp. 49-62) —, illustrando le premesse del grande impegno caritativo dell’Ottocento milanese e lombardo, che ha in Giacomo Mellerio il suo protagonista indiscusso. Gli eventi traumatici della Rivoluzione del 1789 inducono molti a voler ricostruire un tessuto cristiano lacerato dal giansenismo e dal rigorismo che, rendendo la religione ostile e impraticabile, avevano favorito la scristianizzazione là dove erano più presenti, mentre nei luoghi interessati in modo sistematico dalle missioni popolari si era diffusa una religione praticabile da tutti, in qualsiasi condizione di vita, che restituirà alle anime il respiro della fiducia e l’ottimismo della salvezza. Si assiste a una nuova fioritura degli ordini religiosi, che assumono sempre più connotazioni educative e assistenziali, adattandosi alle trasformazioni della società, mentre si diffondono ampiamente mentalità e abitudini di vita presenti all’interno di certe confraternite. L’insistenza sulla santità possibile in ogni stato di vita e sulla necessità di farsi carico delle necessità del prossimo conduce a sviluppare la dimensione caritativa, grazie anche alla presenza di un clero missionario, attivo, vicino alla gente.
Non vengono trascurati i meccanismi di diffusione della cultura, indagati da Cesare Mozzarelli (1947-2004), che descrive sinteticamente l’impresa editoriale de La «Biblioteca Ascetica» della marchesa Cavriani di Mantova (pp. 63-66) — protrattasi dal 1835 al 1871 per merito dei marchesi Cavriani —, aprendo nuovi orizzonti di ricerca sull’attività e sul ruolo degli intransigenti nell’editoria e nella cultura, e da padre Andrea Brustolon OMV, con un’ampia relazione su Una proposta di restaurazione culturale e spirituale attraverso l’età napoleonica: l’Amicizia Cristiana (pp. 67-97). Alle Amicizie Cristiane — organizzazione di apostolato religioso e culturale fondata negli ultimi decenni del secolo XVIII dal gesuita bernese Nikolaus Albrecht von Diesbach (1732-1798) e dal venerabile Pio Bruno Lanteri (1759-1830) e diffusasi presto in Piemonte, in Lombardia, in Svizzera e in Austria per favorire una nuova presenza culturale e spirituale dei cattolici nella società — è affiliato anche Mellerio, con inevitabili conseguenze sulle sue scelte di fondo e sulla sua azione pubblica e privata.
I contributi di Paolo Pastori — La diffusione del pensiero di padre Gioacchino Ventura nell’Italia della Restaurazione (pp. 99- 129) — e di Nicola Del Corno — Un contro-rivoluzionario milanese negli anni della Restaurazione: Paolo Vergani (pp. 131-144) — illustrano momenti e figure significative del cattolicesimo lombardo e i loro legami con pensatori non lombardi, come padre Gioacchino Ventura (1792-1861).
La Parte II, Giacomo Mellerio e la progettualità cattolica fra Restaurazione e Unità (pp. 145-198), dedicata più specificamente alla figura del conte, è aperta dalle riflessioni di Giorgio Rumi (1938-2006) su Religione e politica: l’arduo rapporto con l’Austria (pp. 147-150). Seguono le Prime risultanze del «progetto Mellerio» (pp. 151-157), di Oscar Sanguinetti — che ha curato altresì la revisione critica e formale dei numerosi contributi che compongono il volume —, che illustra il lavoro di ricerca compiuto dall’Istituto da lui diretto, cioè l’inventario della letteratura esistente sull’azione sociale dei cattolici, frammentaria e dispersa, l’individuazione e, ove possibile, la raccolta di tutto il materiale documentario esistente sul conte, compresa la sua nutrita corrispondenza. La fase restante dell’indagine dovrà riguardare diversi filoni: Mellerio come uomo di cultura, quale affiliato alle Amicizie Cristiane e come uomo politico.
I contributi di Stefano Levati — Origini, fortune e patrimonio della famiglia Mellerio (pp. 159-169) —, Elena Reduzzi — Aspetti della personalità di Giacomo Mellerio attraverso le lettere (pp. 171-183) —, Fausto Ruggeri — Tratti della spiritualità caritativa di Giacomo Mellerio (pp. 185-190) — e Alice Pizzocaro — Nuovi documenti sulla missione di Giacomo Mellerio a Vienna (1814-1819) (pp. 191-198) — documentano il ruolo primario del conte nel favorire e diffondere non solo l’azione sociale e caritatevole dei cattolici milanesi e lombardi nella realtà del tempo, ma anche il suo prodigarsi a sostegno della cultura cattolica e nel far conoscere il pensiero di Antonio Rosmini Serbati (1797-1855), sacerdote e filosofo, e di Alessandro Manzoni (1785-1873).
Nella Parte III, Alternative di riedificazione culturale nel cattolicesimo lombardo post-unitario (pp. 199-230), Marco Invernizzi delinea Le radici culturali del movimento intransigente nel magistero della Chiesa e nella critica cattolica alla modernità (pp. 201-211), da Papa Clemente XIII (1758-1769) a Papa Pio IX (1846-1878), mostrando che il magistero non ha aspettato il 1789 per cogliere la portata rivoluzionaria dei cambiamenti in corso nella cultura dei ceti dirigenti europei durante il secolo XVIII e illustrando l’azione di persone e di movimenti che dopo il 1789 hanno operato per dare corpo alle indicazioni del magistero. «Da questa cultura nasce una critica "intransigente" alla modernità [...]. Accanto alle insorgenze popolari che accolgono l’invasione francese con le armi, in quest’epoca esistono altri uomini che, con altre armi, si apprestano a una battaglia che sarà tanto lunga quanto l’epoca che nasce con il 1789» (p. 208).
Infine, Giuseppe Bonvegna — Un esponente dell’Opera dei Congressi: Alberto de Mojana (pp. 213-220) — e Laura Civinini — Un intransigente lombardo: il duca Tommaso Gallarati Scotti (1814-1905) (pp. 221-230) — tracciano la biografia di due intransigenti lombardi nell’Italia unita. Chiudono il libro un utile Indice dei nomi (pp. 231-238) ed elementi biografici su Gli autori (p. 239).
Francesco Pappalardo