S
ui rapporti fra Santa Sede e Prussia negli anni in cui questa si trasforma in
Secondo
Reich hanno indagato a partire dagli anni 1960 diversi studiosi
tedeschi, che si sono avvalsi anche della documentazione degli archivi vaticani,
nella misura in cui questi sono stati via via aperti ai ricercatori.
A
questo insieme di lavori fa ora seguito il saggio di un giovane studioso
italiano, Massimiliano Valente, che, per il suo dominio delle fonti, sia di
quelle italiane, sia di quelle in lingua, si situa con autorevolezza nel filone
degli studi sul tema.
Valente
— e questo è un elemento innovativo rispetto agli studi precedenti — assume
come orizzonte temporale un periodo più ampio rispetto a quello in cui si
svolge il cosiddetto Kulturkampf, la «lotta di civiltà», partendo
dall’ascesa al cancellierato di Otto di Bismarck (1836-1904) fino alla morte di
Papa Pio IX (1846-1878) nel 1878. Prende quindi in esame anche il periodo fra
il 1862 e il fatidico 1870 — l’anno che segna la fine del potere temporale, la
promulgazione dell’infallibilità pontificia nel presto interrotto Concilio
Vaticano I (1869-1870), il completamento dell’unità italiana e l’avvio alla
conclusione del processo di costruzione dell’impero tedesco — in cui i rapporti
fra Prussia e Roma e fra vescovi prussiani e Berlino si mantennero
sostanzialmente buoni.
Va
premesso che l’analisi di Valente, per poter prendere in esame un oggetto
costante e omogeneo, vista anche la più ampia prospettiva cronologica adottata,
è rivolta soprattutto alla Prussia, la quale, anche dopo l’unificazione,
manterrà prerogative sue nel campo della legislazione ecclesiastica.
Particolare
risalto — anche per l’influenza di questo elemento personale sul piano dei
fatti — è dato alla figura dei due protagonisti del conflitto, il «papa del Sillabo»
e «il cancelliere di ferro»: se i rapporti fra Pio IX e l’imperatore Guglielmo
I (1797-1888) si manterranno sempre sostanzialmente buoni, quelli fra papa e
cancelliere si incrineranno a partire dal fallimento delle negoziazioni fra
Roma e Berlino del 1870: ma fino ad allora Bismarck non si irrigidisce su
posizioni ideologiche oltranzistiche, né dà segno di essere preda di un
luteranesimo fanatico. Per questo — sottolinea Valente — il dissidio nasce
prima sul piano politico, nello scontro fra Bismarck e il partito dei cattolici
— il cosiddetto Zentrum —, poi si sposta sul piano della vita
organizzata del cattolicesimo stesso — con l’usuale bouquet di
provvedimenti restrittivi, che vanno dalle limitazioni del culto, alle incarcerazioni
di vescovi, alla soppressioni degli ordini religiosi, alla chiusura dei
seminari —, per poi sfociare nel più allargato confronto fra la Santa Sede e il governo imperiale. Bismarck sembra aver coltivato il disegno di servirsi di
Pio IX nel suo rapporto con il Zentrum — sia prima sia dopo
l’unificazione — e come mediatore con la Francia, e che, constatata — probabilmente a causa di una sua difettosa concezione del ruolo del pontificato in seno
alla Chiesa — l’incapacità di Roma di operare nel senso auspicato, se ne sia a
poco a poco disinteressato.
In
effetti, una volta costituito l’impero, il primo oggetto di contesa diverrà la
legislazione scolastica, dove da parte del governo prevarrà la lettura data
alla neo-proclamata pretesa cattolica relativa all’infallibilità magisteriale
come elemento che poteva mettere in crisi il rapporto di uguaglianza giuridica
fra cattolicesimo e altre confessioni. Mentre, da parte cattolica, si vedrà
nella proposta di riforma un tentativo unilaterale, quindi eversivo, rispetto
alla situazione in vigore fin dai tempi di Gregorio XVI (1831-1846) e di
Federico Guglielmo IV (1795-1861).
In
seguito, il trionfo elettorale del Zentrum nelle prime elezioni del Reich,
fu visto come una minaccia nei confronti del genuino spirito protestante
prussiano a causa del suo programma di tutela di aspetti confessionali e difensivo
della posizione del Papa nel quadro della Questione Romana. Anche perché, nella
struttura federale del Reich, la minoranza cattolica — che allora
comprendeva circa un terzo dei tedeschi — in alcune regioni, come l’importante
Baviera e le nuove regioni incorporate, come l’Alsazia, la Lorena e le terre polacche, diventava di fatto una maggioranza e questo pareva minare in
prospettiva la coesione della nuova compagine politica. Di conseguenza il
governo imperiale, dopo aver esperito qualche assaggio volto a verificare se
Roma si mostrasse disponibile a intervenire nella situazione, apre le ostilità
contro il partito e le organizzazioni cattolico, poi contro le gerarchie
locali, infine, contro la Santa Sede. Da politica l’offensiva dello Stato germanico
si fa legislativa: nuove leggi, sempre più complesse, vengono emanate al fine
di laicizzare la Germania e di separare sempre più nettamente la Chiesa dallo Stato.
Gli
anni in cui il conflitto infierisce in maniera più violenta vanno dal 1873 al
1875: le leggi eccezionali sono del maggio 1874, mentre la rottura delle
relazioni diplomatiche inizia nel 1872 e si protrae ben oltre la morte di Pio
IX, fino al 1887. E Bismarck — che pur negherà sempre di voler attaccare i
cattolici, affermando che il suo vero nemico è il cattolicesimo politico — non
è esente da critiche per la determinatezza — che sottovalutava alquanto le
capacità di resistenza dell’avversario e poco si preoccupava delle conseguenze
dilaceranti che avrebbe provocato in un paese ancora in fieri — posta
nel voler arrivare al suo scopo. Anzi, nell’asprezza dello scontro, sembrerà
voler addirittura modificare quest’ultimo, passando dalla separazione alla mera
soggezione, alla protestante, dei cattolici allo Stato.
La
lotta per la separazione si tramuterà così una sorta di vicolo cieco per il
governo germanico. «Che per Bismarck il Kulturkampf fosse una
battaglia principalmente politico-diplomatica finalizzata alla preservazione
dell’unità dell’Impero è dimostrato dalla involuzione del conflitto, determinata
anche dal cambiamento della situazione parlamentare e degli schieramenti
politici. Nel distaccarsi dai liberali il cancelliere si rese conto che la
persecuzione attuata contro i cattolici aveva permesso un rapido sviluppo del
socialismo all’interno del Reich. In ultima analisi, il cancelliere
[non era riuscito] nell’intento di coinvolgere la popolazione protestante
tedesca in questa “lotta per la civiltà”. Erano state create solo divisioni
all’interno del Paese e si era permesso lo sviluppo di un altro partito ben più
pericoloso, secondo lo stesso Bismarck, per la stabilità dell’Impero. Inoltre,
anche sul piano internazionale, numerose erano le proteste elevate da parte
delle potenze europee […], mentre il riaccendersi della “questione
d’Oriente” stava di nuovo minacciando gli equilibri europei» (p. 250).
Dal
punto di vista romano Valente evidenzia come i cattolici sottovalutarono
inizialmente l’interlocutore, pensando di muoversi ancora in un contesto in cui
le garanzie costituzionali per il cattolicesimo potessero essere negoziate su
un piano di parità, mentre il nuovo Stato si arrogava la prerogativa
dell’unilateralità. Inoltre, Roma scende in campo anche per dimostrare di
essere ancora una potenza in grado di dire la sua nel contesto internazionale
anche dopo la fine del potere temporale. Anche le rigide modalità di lotta
adottate da Roma — la resistenza passiva dei militanti, la condanna
magisteriale e il genere di argomenti dottrinali introdotti nella polemica —
sono condizionati dal contesto.
Valente
conclude la sua analisi optando per la «teoria della confusione» di obiettivi e
metodi di lotta da parte di entrambi i contendenti. Mentre il cancelliere
tedesco nella sua lotta contro il partito cattolico si sarebbe a torto
allargato al terreno dei rapporti Stato-Chiesa, l’errore di quest’ultima sarebbe
stato proprio di non ricondurre il conflitto al suo vero alveo, ma di aver
accettato lo scontro sul terreno dei principi e dei rapporti fra sfera
temporale e sfera spirituale. Dunque, due vie entrambe senza uscita nel nuovo
contesto della seconda metà del secolo XIX.
Fra le risultanze più originali
dell’analisi di Valente si situa la segnalazione, nella nuova condizione di
vita dei cattolici germanici creata dalla leggi bismarckiane, l’emergere sul
suolo tedesco di due realtà, di minor risalto in precedenza: la Conferenza dei vescovi germanici, che si radunava a Fulda, e la superstite nunziatura presso
il Regno di Baviera, che inizia a svolgere il ruolo di nodo di smistamento
delle comunicazioni fra Roma e i vescovi tedeschi. Così pure, parallelamente, a
Roma assume crescente rilievo l’azione della Congregazione per gli Affari
Ecclesiastici Straordinari.
Le
fonti impiegate dal giovane contemporaneista romano — che ha al suo attivo
anche Questione romana e relazioni diplomatiche italo-prussiane nella crisi
del 1867 (Il Diritto
Ecclesiastico, n. 4, 1997, pp. 1.070-1.090); Pio IX, il Sacro Collegio
e il Corpo Diplomatico di fronte alla questione della partenza da Roma dopo la
caduta del potere temporale (in
Il Diritto Ecclesiastico, n. 3, 1999, pp. 784-833) —, tanto
quelle italiane quanto quelle in lingua tedesca, si rivelano abbondanti, ben
assortite come tipologia — studi, testi legislativi, carteggi, atti, documenti
di archivio —, nonché ben selezionate, aggiornate e del tutto puntuali.