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RECENSIONI


Leone XIII e gli studi storici. Atti del Convegno Internazionale Commemorativo (Città del Vaticano, 30-31 ottobre 2003), a cura di Cosimo Semeraro, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, 270 pp.




N ell’anno centenario della scomparsa di Papa Leone XIII (1878-1903) il Pontificio Comitato di Scienze Storiche ha voluto ricordare l’attenzione del Pontefice all’impegno culturale della Chiesa e in particolare alla promozione degli studi storici con un Convegno Internazionale Commemorativo svoltosi in Vaticano, presso l’Aula Vecchia del Sinodo, il 30 e 31 ottobre 2003.

Il convegno è stato aperto da un saluto di mons. Walter Brandmüller, presidente del Comitato organizzatore, e dal messaggio di Papa Giovanni Paolo II (1978-2005), letto dal card. Angelo Sodano, Segretario di Stato, sul contesto teologico, culturale e pastorale nel quale si è sviluppata l’azione di Leone XIII, che «[...] non si limitò a fondare la Commissione cardinalizia per la promozione degli studi storici, dalla quale è scaturito l’odierno Pontificio Comitato di Scienze Storiche, ma conferì pure un efficace impulso alle scienza storiche mediante l’apertura agli studiosi dell’Archivio Segreto Vaticano e della Biblioteca Apostolica Vaticana» (pp. 5-7 [p. 5]).

Alle considerazioni di Philippe Levillain, professore di storia contemporanea all’Università di Parigi X Nanterre, su Leone XIII nella storiografia del XX secolo (pp. 9-19), che ha delineato una breve biografia del Pontefice e ha tracciato un primo bilancio storiografico, osservando che «non esiste una biografia di Leone XIII scritta dopo l’apertura degli archivi del pontificato decisa da Giovanni Paolo nel 1979» (p. 16), ha fatto seguito la relazione di Arnold Esch, direttore emerito dell’Istituto Storico Germanico di Roma, su Leone XIII, l’apertura dell’Archivio Segreto Vaticano e la storiografia (pp. 20-43).

Esch ha illustrato innanzitutto le condizioni della ricerca sulla storia dei Papi prima dell’apertura dell’Archivio, che prodotto comunque risultati di valore, come lo studio dello storico tedesco protestante Leopold von Ranke (1795-1886), ricordando inoltre che l’Archivio non era chiuso così ermeticamente come potrebbe sembrare. Fra il 1855 e il 1870 erano stati pubblicati numerosi volumi di documenti relativi alla storia di nazioni europee e dal 1822 una quindicina di studiosi avevano avuto accesso alla documentazione archivistica indipendentemente dal loro credo religioso: ne trassero giovamento studiosi cattolici come l’austriaco Ludwig von Pastor (1854-1928), autore di una monumentale storia del Papato dalla fine del Medioevo, e studiosi protestanti di nazionalità inglese e germanica fra cui il prussiano Georg Heinrich Pertz (1795-1876), presidente dei Monumenta Germaniae Historica, affascinato dalla grandezza della Chiesa cattolica emergente dai documenti consultati, tanto da dichiarare che non era avveduto tener chiuso l’Archivio «[...] in quanto “la migliore difesa dei papi è lo svelamento del loro essere”« (p. 23). Infine Leone XIII, superando l’irrigidimento del predecessore Pio IX (1846-1878) — ben comprensibile alla luce della conquista di Roma nel 1870 e dell’aggressione culturale operata dallo Stato italiano nei confronti della Chiesa —, decretò l’apertura dell’Archivio a partire dal 1881, convinto che «“La Chiesa non deve temere la verità”» (p. 31).

Esch prende quindi in esame le ripercussioni dell’apertura dell’Archivio sulla storiografia internazionale, visibili sia nella fondazione di istituti di ricerca internazionali a Roma con la pubblicazione di opere monumentali — ben 1100 titoli dal 1880 al 1900 fra edizioni, regesti, inventari —, cosicché «l’Archivio Segreto Vaticano si rivelò come il tesoro della storia europea» (p. 38), sia nella migliore e più equa valutazione delle autorità ecclesiastiche e del loro operato scaturita dalla consultazione dei documenti.

I dettagli, anche tecnici, dell’apertura anzidetta sono stati forniti da padre Sergio Pagano, B., Prefetto dell’Archivio, nella relazione su Leone XIII e l’apertura dell’Archivio Segreto Vaticano (pp. 44-63), che ha voluto innanzitutto sfatare la leggenda del contrasto fra un Pontefice «illuminato» e amante della ricerca storica e la miopia e le remore dei prelati di Curia e del personale interessato all’apertura. Se resistenza vi fu, dipese soprattutto dalla situazione logistica degli archivi dopo il deleterio sequestro e trasporto di tutta la documentazione nella Parigi napoleonica del 1810, che comportò non solo perdite ma anche la confusione più assoluta al momento della restituzione. «Il lavoro di sistemazione dei fondi [...] era ingentissimo, le urgenze erano molte e le forze umane quasi nulle» (p. 49). Prima di pensare a un’apertura dell’Archivio sembrava ovvio ai suoi officiali di dover provvedere al suo riordino, ad alcuni miglioramenti strutturali e soprattutto al puntuale riscontro dell’abbondante documentazione con i relativi indici e inventari esistenti.

La decisione di Leone XIII, maturata fin dal primo anno di Pontificato e accelerata dalla nomina ad Archivista della Santa Sede, nel 1879, del dotto ecclesiastico tedesco Joseph Hergenröther (1824-1890), investito della dignità cardinalizia e tramite sicuro delle esigenze di apertura che provenivano da università, istituzioni e ambienti culturali germanici, fu influenzata anche dalla volontà di non esporre la Chiesa al rischio di apparire nemica della scienza storica o addirittura della verità nel momento in cui l’ostile governo italiano, sostenuto da quello prussiano, minacciava di sequestrare tutti gli archivi pontifici sparsi nella capitale. Fu, dunque, «un passo compiuto in tempi burrascosi, nelle contingenze strette e minacciose della politica italiana, dietro pressioni velate ma ben percettibili, nella seria impreparazione degli archivisti dello stesso Archivio Pontificio e in una situazione materiale della secolare documentazione che avrebbe indotto chiunque alla cautela se non allo spavento» (p. 60).

L’intenzione del Pontefice era comunque più ampia, cioè rinnovare profondamente la cultura e gli studi ecclesiastici in vista di un confronto coraggioso e paritario con quanti utilizzavano la ricerca storica per contrastare le verità della Chiesa e del cristianesimo. Allo scopo intendeva utilizzare sinergicamente l’Archivio Segreto e la Biblioteca Apostolica, come ha esposto Mons. Raffaele Farina, SDB, Prefetto della Biblioteca, relazionando appunto su Leone XIII e la Biblioteca Apostolica Vaticana (pp. 64-108). Fin dal 1878, anno primo del Pontificato, Leone XIII riformò profondamente l’organizzazione della Biblioteca con il Motu Proprio «Quanto grandi e provvide», volto a favorire sia l’apertura all’esterno sia la riqualificazione interna, cui fece seguito il nuovo Regolamento, promulgato in via sperimentale nel 1885 e confermato nel 1888. La più larga apertura dell’Archivio e della Biblioteca va inserita nel contesto dei gesti pontificali di quegli anni, tutti collegati fra loro: l’enciclica Etsi nos ai vescovi italiani, del 1882, sulla necessità di difendere l’opera del Papato nella storia italiana, la lettera Sicut multa ai vescovi siciliani, pure del 1882, in occasione del sesto centenario dei Vespri siciliani e delle ricostruzioni faziose che ne erano seguite, la lettera Saepenumero considerantes, del 1883, la fondazione della Scuola Vaticana di Paleografia, nel 1884, e la costituzione della commissione cardinalizia per gli studi storici.

Il complesso ripensamento istituzionale avviato nel 1878 fu accompagnato anche dalla ricerca di persone in grado di tradurre in pratica le nuove necessità, pure della Biblioteca, «[...] non più venerabile istituto di conservazione ma attivo centro di studi e di elaborazione di una storiografia cattolica capace di contrastare le ricostruzioni laiciste» (p. 88). L’uomo giusto per la Biblioteca fu il gesuita tedesco Franz Ehrle (1845-1934), Prefetto dal 1895, primo non italiano nell’incarico da oltre un secolo, che nel 1899 ricevette dall’anglicana Università di Oxford il dottorato honoris causa per l’apertura della biblioteca Leonina e la realizzazione in essa di una Sala di consultazione al servizio degli studiosi impegnati nell’Archivio e nella Biblioteca Vaticana. «La grandezza della biblioteca Leonina e della sua sala di consultazione [...] è [...] nella sua concezione ideale di bene comune al servizio della Biblioteca, dell’Archivio e degli studiosi, al quale concorse davvero tutto il mondo dotto. Un’idea — e qui risiede un altro motivo della sua grandezza — concepita e realizzata proprio mentre settori oltranzisti dell’opinione pubblica ancora rilanciavano le rivendicazioni italiane sulla Biblioteca Vaticana avanzate subito dopo Porta Pia e mentre la città era teatro di una violentissima offensiva contro la Chiesa attraverso lo strumento di monumenti commemorativi» (pp. 94-95). L’apertura al mondo si espresse anche in un articolato programma scientifico ed editoriale nonché in una sapiente strategia di accessioni soprattutto nei confronti di biblioteche e archivi di famiglie della nobiltà romana travolte dall’occupazione italiana.

La lucida strategia di Leone XIII, volta a «[...] risanare la ricerca storica, in particolare la ricerca storica applicata alla vita della Chiesa, sottraendola alle angustie della mancanza delle fonti e al veleno dell’ideologia anticlericale» (p. 109), fu alla base di un vero e proprio progetto culturale, le cui tappe sono state illustrate da don Cosimo Semeraro, Segretario del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, nell’intervento su La commissione cardinalizia per gli studi storici (pp. 109-145).

Bisogna forse risalire al 1882 e alla forte tensione politica determinata in Italia dai preparativi delle giornate commemorative dei Vespri Siciliani, il cui tono anticlericale trovò il suo apice nella presenza di Giuseppe Garibaldi (1807-1882) a Palermo e nei discorsi dell’uomo politico siciliano Francesco Crispi (1818-1901). Di fronte alle vibrate proteste di tutto il mondo cattolico, il Papa colse l’occasione per rammaricarsi della su «prigionia» territoriale e morale e per dare il suo appoggio pubblico ai cattolici italiani e agli studi storici. La strumentalizzazione della ricorrenza dei Vespri, il monumento all’agitatore Arnaldo da Brescia (m. 1155), inaugurato nell’agosto dello stesso anno, e la conferma dell’autenticità del Privilegium Ottonianum — con cui l’imperatore Ottone I il Grande (912-973) sottometteva l’elezione del Pontefice al consenso imperiale — ad opera di uno storico protestante, il tedesco Theodor von Sickel (1826-1908), contribuirono a convincere Leone XIII a dare notizia ufficiale di un suo progetto per gli studi storici con la lettera Saepenumero considerantes, del 18 agosto 1883, inviata ai cardinali Antonino de Luca (1805-1883), Prefetto degli Studi, il benedettino Jean-Baptiste Pitra (1812-1889), Bibliotecario, e Joseph Hergenröther. In essa il Pontefice esprimeva le sue preoccupazioni per gli attacchi alla Chiesa da parte di ambienti politici italiani anticlericali, con grave danno per la stessa indagine storica, che vedeva così pregiudicato il suo fine principale di ricerca della verità, ricordava i meriti del Papato per la storia d’Italia, di cui aveva sempre difeso la libertà, e dichiarava la sua piena fiducia nella ricerca storica, purché documentata e imparziale.

Per elaborare un programma concreto di ricerca Leone XIII nominò una commissione composta da quattro cardinali, cioè Pitra e Hergenröther — De Luca era appena deceduto —, nonché Domenico Bartolini (1813-1887), presidente dell’Accademia di religione cattolica a Roma, e Lucido Maria Parocchi (1833-1903), fondatore della Scuola Cattolica di Milano. «Così senza una data precisa e senza annuncio ufficiale nacque e si formò la commissione cardinalizia per gli studi storici» (p. 126). La commissione, che conobbe numerosi avvicendamenti, mise a punto un «Programma per la ricerca storica», lungimirante e animato da grandi prospettive, che definì le ricerche d’archivio da intraprendere — in particolare la raccolta e l’edizione dei registri papali — e i grandi temi della storia della Chiesa e del Papato da approfondire. La commissione diresse numerose pubblicazioni storiche, di singoli studiosi e di diverso valore, nate sotto gli auspici del Pontefice, anche se non riuscì a far nascere a Roma, come auspicato da Leone XIII, una rivista di storia della Chiesa destinata in primo luogo al clero.

Il volume, di cui costituisce parte significativa la corposa Bibliografia delle opere su Leone XIII edite in Italia e in Vaticano negli ultimi cento anni (1903-2003), ad opera di Luca Carboni e Giovanni Castaldo (pp. 146-249) dell’Archivio Segreto Vaticano, contenente oltre mille titoli, si chiude con un utile Indice dei nomi (pp. 251-268).

Francesco Pappalardo


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