a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale
inserito il 21 febbraio 2009
RECENSIONI
MASSIMO INTROVIGNE, Una battaglia nella notte. Plinio Corrêa de Oliveira e la crisi del secolo XX nella Chiesa, Sugarco Edizioni, Milano 2008, pp. 294, € 19,50.
Uno dei maggiori eventi del secolo XX è stato senz’altro il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) che alla luce di un mondo profondamente cambiato rispetto a pochi decenni prima, ha dettato gli orientamenti con cui la Chiesa cattolica si sarebbe posta dinanzi alla cosiddetta Modernità e alle sue sfide. Per lungo tempo però, che cosa sia stato il Concilio e quale sia stato il suo significato all’interno della vita della Chiesa è stato oggetto di incomprensioni e malintesi. Per dirla con una metafora che san Basilio usa riferendosi alla situazione della Chiesa dopo il Concilio di Nicea del 325, si è trattato di una battaglia navale nel buio della tempesta in cui "il grido rauco di coloro che per la discordia si ergono l’uno contro l’altro, le chiacchiere incomprensibili, il rumore confuso dei clamori ininterrotti ha riempito ormai quasi tutta la Chiesa falsando, per eccellenza o per difetto, la retta dottrina della fede…" (cit. a pag. 7). Da questo pensiero, ripreso in due pronunciamenti pubblici da Benedetto XVI, prende l’avvio la riflessione dello studioso di religioni Massimo Introvigne su quella che è stata la recezione e quindi la prassi pastorale seguita all’assise romana. Il saggio, suddiviso in sei capitoli che in senso cronologico partono dagli anni Trenta del secolo scorso e arrivano all’oggi, sceglie quale originale punto d’osservazione il più grande Paese cattolico del mondo, il Brasile, e all’interno della sua storia recente ricostruisce l’itinerario spirituale e dottrinale del pensatore e uomo d’azione Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), nonché delle varie associazioni da lui fondate o che da lui derivano, come la TFP (Società Brasiliana di Difesa della Tradizione Famiglia e Proprietà).
Non si tratta di un percorso personalistico, ma di una dettagliata ricerca delle radici di quella scuola cattolica, detta contro-rivoluzionaria, cui echi significativi si rilevano nel magistero dei Pontefici dei secoli XX e XXI. Seguirne le tracce significa quindi non solo fare storia del pensiero occidentale ma comprendere quali siano le peculiarità di una visione del mondo che diventa instrumentum laboris non solo della Chiesa al suo vertice, che ne autentica per così dire autorevolmente ex cathedra la dignità intellettuale, ma di tutte quelle scuole che ad essa si richiamano. La scuola di pensiero contro-rivoluzionaria nella fattispecie ha le sue radici profonde in una visione drammatica della storia che vede l’umanità chiamata a scegliere fra una "porta larga" e facile che conduce all’Inferno e una "porta stretta" e difficile che conduce al Paradiso, una metafora presente già nel Vangelo e ripresa dai primi scritti apostolici. La stessa che emerge dal conflitto fra la "Città del Diavolo" e la "Città di Dio" (fra cui si muove la "terza città", la città degli uomini) di Sant’Agostino ed in seguito ancora rielaborata nella spiritualità di Sant’Ignazio di Loyola con l’immagine delle "due bandiere". E’ una riflessione che individua il male come una costante presente e attiva nella storia umana sottolineando al contempo il ruolo attivo del cristiano e il dovere dell’apostolato. In questa corrente si situano in età moderna le considerazioni di Edmund Burke sulla Rivoluzione Francese e quelle di Joseph de Maistre. Così, se da una parte la Rivoluzione è identificata non in un singolo avvenimento della storia (come potrebbero essere gli sconvolgimenti in Francia del 1789) ma in un movimento di lungo periodo che si nutre di idee, tendenze e costumi che mirano a erodere l’humus storico-culturale della civiltà classico-cristiana, dall’altra la Contro-Rivoluzione si afferma come critica coerente non solo dell’evento storico in sé ma come modello di lettura che attraversa tutta la storia dell’Occidente. Per questo, se come Burke e de Maistre affermano, la Rivoluzione è anzitutto anti-religiosa, la Contro-Rivoluzione non può prescindere da un ritorno personale e sociale alla religione. L’analisi più brillante di questo processo culmina nel saggio di Corrêa de Oliveira significativamente intitolato Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (1959).
Sfondo della riflessione di Introvigne è quindi il panorama culturale e religioso del Brasile del primo Novecento, ambiente in cui si forma Corrêa de Oliveira e per certi versi paradigmatico di quella Magna Europa di cui, non lo si dimentichi, il Brasile e l’Iberoamerica sono appendice. Nato in una famiglia profondamente cattolica, nel 1929 Corrêa de Oliveira fonda l’Azione Universitaria Cattolica di San Paolo mentre tre anni dopo è in politica con la Lega Elettorale Cattolica, uscendo vincitore nelle elezioni per l’Assemblea Costituente chiamata a dare un nuovo volto istituzionale al Brasile. In patria sono anni tumultuosi e l’instabilità politica del Paese d’altronde non è altro che un riflesso di una situazione di confusione che abbraccia non solo la politica ma anzi proprio quei fondamenti pre-politici su cui la società civile si regge e che però, usare una frase di Wolfgang Böckenforde, "non può garantire".
E’ una crisi descritta bene da papa Pio XII in una meditazione teologica sulla storia occidentale su cui Corrêa de Oliveira tornerà più volte ritenendola emblematica per descrivere la sequenza dell’allontanamento dell’Occidente dalla verità cattolica. E’ un allontanamento che si consuma in tre tappe corrispondenti al protestantesimo che nega la Chiesa, al deismo illuminista e all’ateismo marxista: "[…] Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio è morto; anzi : Dio non è mai stato" (cit. a pag. 63). Da parte sua, come accennato, Corrêa de Oliveira riprende questa lettura con il suo Rivoluzione e Contro-Rivoluzione: un saggio che racchiude due secoli di riflessione cattolica contro-rivoluzionaria sulla storia dell’Occidente, a partire dalla Rivoluzione Francese, proponendosi in quegli anni come un’eco fedele del pensiero di Pio XII. Nella prima parte dell’opera il pensatore presenta l’assalto delle forze anti-cattoliche alla Cristianità occidentale, quella che è stata definita la Rivoluzione, interpretata come un processo continuativo con inizio nel secolo XIV dove si distinguono una I Rivoluzione (protestante), una II (illuminista) e una III (comunista), che richiamano quasi parallelamente, come si vede, la riflessione sulla teologia della storia di Pio XII sopra citata. Negli anni Settanta Corrêa de Oliveira parlerà poi di una IV Rivoluzione, quella culturale, compendiata superficialmente nell’anno 1968 ma di cui vi sono sintomi evidenti già negli anni precedenti caratterizzati dal globale sfaldamento di quei valori perenni che avevano plasmato le fondamenta della società occidentale. La lezione del pensatore brasiliano è che "la Rivoluzione non si riduce alla sua parte più visibile, i fatti: contrariamente a quanto afferma la teoria marxista del primato della prassi, dietro i fatti ci sono le idee. Non è la prassi a produrre le dottrine, ma sono le dottrine a produrre la prassi" (p. 74). Tuttavia, "neppure le dottrine costituiscono la radice ultima del processo rivoluzionario. Dietro le idee vi sono quelle che il pensatore brasiliano chiama ‘tendenze’, rappresentate principalmente dall’orgoglio e dalla sensualità" (p. 75). Per questo la stessa fase allora dominante del processo rivoluzionario (la III Rivoluzione comunista) viene ricondotta non a un mero problema economico ma ai frutti malsani dell’orgoglio e dell’invidia. "Il comunismo – come aveva ripetuto Pio XII – è un vizio e un peccato prima di essere una dottrina politica" (p. 75). Questo non significa in nessun modo "trascurare i bisogni materiali, generatori di tanta rivolta nelle masse. Ma lo spirito della Rivoluzione non nasce soprattutto dalla miseria. La sua radice è morale e quindi religiosa" (cit. a p. 75). In questo senso per Corrêa de Oliveira, attento osservatore della realtà circostante a partire dai dettagli del quotidiano, a prima vista trascurabili, è fondamentale comprendere il ruolo che nel processo di disgregazione hanno la cultura, gli ambienti e le tendenze in senso lato. Alla rivoluzione politica e sociale non è quindi estranea ma anzi preliminare una rivoluzione radicale nel gusto e nell’estetica che subiscono parimenti l’involgarimento che minerà più avanti aspetti più visibili della società. Di conseguenza, il processo contro-rivoluzionario non può partire semplicemente dalla politica ma deve ripercorrere necessariamente tutto il cammino all’inverso: restaurare buone tendenze, perché ne nascano buone idee e quindi buone pratiche tanto nella vita personale come in quella culturale, sociale e politica.
Negli anni del Concilio il pensiero di Corrêa de Oliveira non riesce forse ad affermarsi compiutamente ma la crisi del post-concilio rivaluterà a fondo la sua lezione che, per non pochi aspetti risulterà profetica (si pensi alla denuncia del lassismo morale progressista, anche cattolico, o alla preoccupazione per il terreno guadagnato dalla ‘teologia della liberazione’ d’impronta marxista nella società brasiliana e in vaste aree del Sudamerica). Oggi, a decenni di distanza, i riconoscimenti magisteriali avuti negli anni confermano la lungimirante capacità di analisi di una scuola di pensiero che alla descrizione tecnica del processo rivoluzionario accompagna l’esposizione feconda di quello contro-rivoluzionario: un segno eloquente di come la lezione brasiliana sia ancora viva.
Omar Ebrahime
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