La comprensione della filosofia cattolica italiana dell’Ottocento è stata recentemente arricchita dalla pubblicazione della critica inedita del pensatore vercellese Emiliano Avogadro della Motta (1798-1865) alla filosofia di Vincenzo Gioberti (1801-1852).
Il testo proposto è la trascrizione di un manoscritto ritrovato presso la Fondazione Luigi Einaudi di Torino da parte di Vittoria Valentino, studiosa che ha già al suo attivo due volumi sul pensatore di Vercelli.
Trascritte e curate dalla stessa Valentino, le pagine avogadriane sono precedute da una Prefazione di Luciano Malusa e da due lunghi saggi introduttivi, rispettivamente della Valentino — che ripercorre l’itinerario intellettuale di Avogadro e i contenuti portanti della sua critica a Gioberti — e di Paolo Gava, studioso di Gioberti che propone una riflessione storico-critica sul testo.
La critica di Avogadro a Gioberti venne condotta con tutta probabilità all’indomani delle condanne antigiobertiane del 1849 e del 1852 — espresse dalla Congregazione dell’Indice e il motivo di fondo delle quali si ritrova nel testo di Avogadro —: in essa non era però in gioco soltanto la valutazione della filosofia dell’abate torinese, e ciò risulta chiaro dalla struttura stessa delle "accuse" avogadriane.
Tali accuse infatti — come emerge dall’Introduzione di Paolo Gava —, pur riguardando sempre "questioni parziali suscettibili di chiarimento", risultano in buona parte "fuori misura" (p. 111), nel senso che rivelano l’intento — percepibile per esempio nel tentativo di accomunare la proposta politica giobertiana al repubblicanesimo di Mazzini — di collegare il pensiero di Gioberti a una tradizione più ampia.
Quest’ultima ruota in definitiva attorno all’idealismo tedesco e gli attacchi di Avogadro a Gioberti ebbero quindi di mira la "riforma filosofica" del cristianesimo — condotta da Gioberti nell’Introduzione allo studio della filosofia del 1840 —, la "riforma religiosa" — condotta nel Gesuita moderno del 1846-1847 — e la "riforma civile" dell’Italia — condotta nel Primato morale e civile degli italiani del 1843 —: ciò che in ultima analisi Avogadro contestava al pensatore piemontese era la subordinazione del cristianesimo alla filosofia (pp. 155-173), l’identificazione di Cristo con l’umanità ideale (pp. 280-310) e l’attribuzione alla società civile dei caratteri della società religiosa (pp. 351-433).
Secondo Gava, quella di Avogadro è un’analisi che non coglie nel segno, innanzitutto perché — per ciò che riguarda l’aspetto filosofico — gli aspetti contestati nell’Introduzione allo studio della filosofia sarebbero presenti solo in una fase precedente del pensiero giobertiano, databile fra gli anni 1820 e il 1834 — il cosiddetto "primo Gioberti". D’altra parte, sempre secondo Gava, sul terreno religioso, Avogadro non avrebbe colto il debito, presente nelle argomentazioni giobertiane, nei confronti del tradizionalismo di Joseph de Maistre (1753-1821) e di Louis de Bonald (1740-1840), e, sul terreno politico, il significato prevalentemente teologico della democrazia giobertiana, che impedisce di ricondurla — come invece fa il filosofo vercellese — nell’alveo delle dottrine di matrice socialista.
Il non aver colto l’eredità del tradizionalismo e il sostrato teologico nella concezione religiosa e politica di Gioberti è tuttavia un aspetto della critica anti-giobertiana di Avogadro che meriterebbe di essere approfondito e chiarificato. Risulta, infatti, quanto meno singolare che un pensatore particolarmente competente in campo teologico come Emiliano Avogadro della Motta si sia lasciato sfuggire un risvolto così importante del "Gioberti teologico" e "religioso".
Non va del resto dimenticato, a conferma di questa "vocazione" teologica in Avogadro, che il nucleo della sua critica a Gioberti, come sottolinea Vittoria Valentino nella Presentazione (cfr. pp. 17-78), ruota attorno a una chiave di lettura cristologica: l’errore di Gioberti consisterebbe nel non aver colto l’indispensabilità dell’Incarnazione per fondare la dottrina della creazione, che è il perno della sua ontologia.
Proprio l’importanza dell’aspetto cristologico nella critica filosofica di Avogadro a Gioberti permette, a giudizio di chi scrive, di collocare il pensatore di Vercelli in un contesto che, se non si identifica con quello dei filosofi che, come Gioberti, cercavano un dialogo con la modernità, non può però nemmeno essere ricondotto in toto al modello, di cui parla Gava, cosiddetto "neoscolastico" e gesuitico piemontese di un Luigi Taparelli d’Azeglio (1793-1862): quest’ultimo modello si fondava sul concetto tomistico di razionalità, la cui arma vincente nei confronti della modernità era il fare ricorso a una ragione in grado di avvicinarsi alle verità di fede, senza però presupporre la fede stessa, un procedimento che difficilmente si poteva conciliare con il ruolo che Avogadro assegnava alla cristologia nella comprensione della filosofia della creazione