Il
cliché storico convenzionale vuole che l’unità politica del nostro paese sia stata avversata ferocemente dai cattolici italiani, trincerati in difesa dei diritti del Pontefice, ciecamente proni ai voleri di chi voleva solo mantenere il suo dispotismo temporale sulle popolazioni di mezza Italia per pure ragioni di potere clericale. Come tutti i
cliché anche questo contiene una parte di verità — che l’unità storicamente realizzata sia stata avversata dai cattolici —, mentre mente in pieno sui modi e sui perché. In realtà l’avversione era indirizzata non tanto verso il fatto dell’unificazione di cui solo un cieco o un folle poteva negare nella seconda metà del secolo XIX la necessità per l’Italia, ma le critiche e le ragioni per opporsi si appuntavano soprattutto sul modo cinico e protervo con cui si era unita l’Italia e sul prezzo che era costato al corpo sociale il venir meno di intere classi dirigenti. Anche il rapporto di tradizionale coesione fra Stato e Chiesa crollava e i cattolici cessavano di coincidere
tout court con i sudditi per divenire una parte fra le parti, un partito fra i tanti, tutti con diritto di concorrere alla formazione delle leggi.
Ma le posizioni non erano monolitiche e «precettate», come da
cliché. I cattolici fin da subito dopo l’Unità e la caduta del potere temporale si dividono riguardo ai problemi del Paese e alla Questione Romana: il grosso del movimento e quello in più immediata sintonia con l’autorità ecclesiastica è la corrente cosiddetta «intransigente», che trova la sua espressione nell’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici, che si riunisce per laprima volta nel 1874, a pochi anni dalla breccia di Porta Pia.
Con la narrazione di questo primo momento unitario si apre il volume di Marco Invernizzi — presidente dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale —, che documenta soprattutto lo svolgimento del dibattito interno al movimento, in relazione ai problemi della Chiesa e del paese, attraverso i verbali dei congressi, che l’Opera tiene con maggiore o minore regolarità, e di cui i documenti del magistero sociale dei Papi, da Leone XIII (1878-1903) a san Pio X (1903-1914), segnano la scansione.
Si tratta di una storia assai ricca di episodi e di sfumature concettuali, che nel suo insieme risponde negativamente al quesito contenuto nel titolo: i cattolici non furono contro l’Unità, ma coltivarono progetti alternativi, sia riguardo all’unità stessa, sia in relazione alla conduzione della cosa pubblica, una volta realizzata l’unità. La gamma delle problematiche oggetto del dibattito oscilla fra l’iniziale legittimismo, da cui i cattolici organizzati prendono le distanze, e i primi segni di presenza di concezioni non più in linea con la linea più «morbida», ma pur sempre anti-moderna, del pontificato di Leone XIII. Per queste posizioni la democrazia cristiana non è più solo un’azione benefica dei cattolici a vantaggio delle masse italiane, ma è un modello di partecipazione alla vita del nuovo Stato unitario, nella piena accettazione, non solo del metodo democratico, ma di larga parte delle prospettive ideologiche nate con l’Ottantanove francese.
Il volume è corredato dall’elenco dei congressi dell’Opera tenutisi fino al suo scioglimento, nel 1903, il testo dei suoi tre statuti e, infine, da una nutrita galleria di ritratti — diverse decine — dei principali artefici del movimento intransigente.
Si tratta, in conclusione, di un’agile lettura e una introduzione importante, soprattutto per il punto di vista innovativo — la guida del giudizio è il magistero e non vi sono omaggi pregiudiziali al «senso della storia», il cui fascino non risparmia neppure i migliori storici cattolici — da cui viene condotta l’analisi.
Oscar Sanguinetti