a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale
inserito il 26 settembre 2008
RECENSIONI
Francesco Senatore, Medioevo: istruzioni per l’uso, Bruno Mondadori, Milano 2008, 160 pp., € 14,00.
Francesco Senatore, professore associato di Storia Medievale all’Università degli Studi Federico II di Napoli, studioso di storia politica e istituzionale dell’Italia quattrocentesca e di didattica della storia, propone un "manuale di istruzioni", cioè un sostegno per lo studente universitario alle prese con la storia medioevale, al quale spesso mancano le categorie e i concetti necessari per interpretare i testi e i manuali a disposizione.
Il primo capitolo, Il soggetto studente e le insidie del nostro linguaggio, intende aiutare il lettore nella formazione di un apparato interpretativo corretto. La prima tentazione cui va incontro lo studente – evidenzia Senatore –, ma anche il grande pubblico, vittima della storia trasmessa dai media, è quella dell’anacronismo: "il passato, anche il più lontano, è compreso e narrato con le parole e i concetti del presente" (p. 15). I nomi dei popoli, che restano apparentemente identici nel corso dei secoli, nascondono realtà molto diverse fra loro ed è necessario evitare equivalenze meccaniche del tipo "anglosassoni = inglesi" e "italici = italiani". Considerazioni analoghe valgono per i termini utilizzati, come quello di "stato": "[...] gli "stati" medievali (rigorosamente da scriversi con la minuscola e al plurale) non possono essere paragonati neppure lontanamente allo Stato ottocentesco [...]. È dunque un errore marchiano cercare nel passato i segni anticipatori dello Stato liberale, enfatizzandoli talmente da offuscare la reale natura di quelle organizzazioni, che anzi sarebbe molto meglio non chiamare neppure "stati"" (p. 7). Non ha senso, inoltre, leggere il passato sulla base dei nostri giudizi di valore: prima di giudicare il passato bisogna comprenderlo, studiandolo senza pre-giudizi.
Il secondo capitolo, L’oggetto Medioevo e la disciplina "storia medievale", è pensato per aiutare a comprendere qual è l’oggetto dello studio, "il Medioevo", e come si definisce di conseguenza la disciplina che lo studia. L’idea di Medioevo è fortemente deformata dal nostro immaginario letterario, cinematografico e persino scolastico. In effetti il Medioevo, come civiltà caratterizzata da peculiarità specifiche, non esiste, anche se non vi è dubbio sull’oggetto in Italia della disciplina "storia medioevale": la storia dell’Europa occidentale. "L’Europa occidentale non va però intesa come mero concetto geografico [...], ma come un concetto culturale: il vero centro d’interesse è dunque l’Occidente, la civiltà occidentale, quella peculiare civiltà che sarebbe nata dall’incontro latino-germanico, che è profondamente segnata dall’esperienza del cristianesimo, che ha avuto il suo centro politico nell’Impero e poi nei grandi regni del basso Medioevo, e che in età moderna e contemporanea ha sottomesso aree vastissime del globo esportando i propri modelli" (p. 31).
Nei manuali un’attenzione particolare è dedicata ovviamente all’Italia, ma l’interesse per la storia della Penisola conserva le tracce di vecchie priorità culturali e ideologiche, fissate durante il Risorgimento e dopo l’Unità, "[...] quando si ricercò nel passato medievale e moderno tutto ciò che potesse rafforzare il senso di appartenenza a una tradizione comune (che c’era, ma era letteraria e culturale!), che potesse essere letta come una anticipazione del processo unitario" (p. 32). Ne è derivato un richiamo eccessivo a quelli che il medievista Mario Del Treppo ha definito "ex fatti", cioè avvenimenti che fino a poco tempo fa lo studente doveva conoscere in tutti i particolari — per esempio la guerra della Lega Lombarda contro l’imperatore Federico Barbarossa e la rivolta siciliana del Vespro contro la Corona angioina, lette come rifiuto eroico dello straniero invasore —, ma che ora, venuti meno i presupposti culturali che avevano portato alla loro selezione, possono passare in secondo piano rispetto alle reali motivazioni di fondo di quei conflitti. Soltanto in questo modo si può cogliere la complessità e la grande varietà di sviluppi propri della storia italiana ma anche della storia tout court; è facile, infatti, dimenticare che la storia poteva andare anche in un modo del tutto diverso, non essendo una sequela di fatti legati tra loro da un vincolo di necessità.
Il secondo capitolo si chiude con una breve disamina dei termini "medioevo" e "feudalesimo", caratterizzati da una valenza negativa che risale nel tempo e che ha un’origine ideologica: "Medievale è il passato che non passa, il negativo che rispunta, contro il positivo del moderno" (p. 43) e che ingloba anche fenomeni appartenenti ad altre epoche — "i roghi delle streghe, per esempio, che si praticarono soprattutto tra il XV e il XVI secolo" (p. 44). Feudalesimo, invece, è sinonimo di anti-Stato, di fini privati prevalenti su quelli pubblici, di subordinazione eccessiva a qualcuno, ignorando che costituiva "[...] un sistema di amministrazione e di sfruttamento del territorio che non ha molto di illegale o di arbitrario e che comunque non era l’unico modo di gestire il potere pubblico [...]. Il sistema poteva non funzionare, come tutti i sistemi, per il prevalere di interessi particolari o per l’insorgere di conflitti, ma aveva una sua razionalità, pur molto diversa dalla nostra" (p. 50).
Nel terzo capitolo, Le fonti e i metodi, l’analisi di alcune fonti esemplari ha lo scopo di far riflettere sulla complessità della storia e della ricerca storica, mostrando esempi concreti dei problemi esposti nei primi due capitoli. L’autore parte dalla considerazione che per una ricostruzione storica i documenti non sono sufficienti, sia perché vanno suffragati da altre discipline, come l’archeologia, la toponomastica, la biometria, la storia dell’arte e molte altre ancora, sia perché di essi occorre valutare l’attendibilità ed esaminare il contesto originario. Riporta quindi numerosi documenti, traducendoli quando necessario e chiosandoli: l’Historia Langobardorum del monaco longobardo Paolo Diacono, che costituisce una fonte narrativa; un coccio di ceramica africana, cioè una fonte materiale; una fonte documentaria, quale un contratto notarile relativo a un mulino amalfitano del secolo XI, il cui esame offre l’occasione per ricordare che "nel Medioevo e oltre, fino a tutto il XVIII secolo, [...] il diritto non era prodotto dallo Stato, ma dalla società stessa, che lo trasmetteva ai posteri e lo trasformava nel corso dei secoli, in maniera diversa da zona a zona" (p. 95); le Costituzioni di Melfi, cioè la raccolta legislativa che l’imperatore Federico II di Svevia diede al regno di Sicilia nel 1231, ovverossia la fonte legislativa; una fonte amministrativa, rappresentata dal verbale di una riunione del Comune di Firenze del 1301, a cui partecipò Dante Alighieri, utile per apprendere che "i Comuni, come tutte le comunità territoriali (città, villaggi, gruppi di villaggi, indipendentemente dall’eventuale grado di autonomia), si autogovernavano" (p. 118); infine, la fonte contabile, una lettera di cambio, antesignana degli odierni assegni bancari, emessa nel 1410, secondo la datazione in uso a Barcellona, o nel 1409, dato che l’anno fiorentino iniziava il 25 marzo, festa dell’Incarnazione: "È complicato, non c’è dubbio, anche se a quel tempo tali differenze non ponevano problemi, come a noi non pongono problemi le differenze di fuso orario tra le varie parti del globo" (p. 135). D’altra parte, "ogni luogo aveva i suoi usi cronologici, le sue monete, le sue unità di peso e di misura, che i mercanti impararono a gestire perfettamente" (ibidem).
Una Nota bibliografica ragionata chiude le "istruzioni", che si presentano molto utili allo studente ma anche a quanti sono impegnati sia nell’insegnamento sia nella divulgazione della storia medievale.
Francesco Pappalardo
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prefazione di Marco Invernizzi,
a cura dell'Istituto Storico dell'Insorgenza e per l'Identità Nazionale,
3a ristampa,
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Crotone 2010,
224 pp., con ill., € 18,00.
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prefazione di Oscar Sanguinetti,
presentazione di Ermanno Pavesi,
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